Sette libri (più uno) per viaggiare da fermi questa Estate

“Cosa fai nella vita?”
“Ho un blog, sono una scrittrice. E tu?”
“Ho un accappatoio, sono uno Jedi”

Meme su FaceBook

I vostri compiti per l’Estate (da notare il retro del PowerBook della Apple)

La prima volta che ho sentito parlare di Internet ero negli Stati uniti, nel 1993. Avevo conosciuto una tipa super nerd che aveva il fidanzato di Udine (che allegria!), ovviamente anche lui dentro il mondo dell’informatica. Guidava una Honda del 1982 color verde nausea, un pomeriggio mi spiegò come ogni sera riuscisse a “chattare” (usò proprio questo termine) in tempo reale e gratis con il fidanzato in Friuli, cercò anche di descrivermi come funzionasse quel sistema e come sarebbe diventato il modo di comunicare nel futuro.

Per quanto l’argomento sembrasse interessante, l’ambientazione della storia (ufficio triste a Los Angeles e Udine) e quella desolante Honda verde, mi fecero considerare il tutto come una semplice, triste storia d’amore tra due sfigati, e così non colsi l’occasione per capire meglio questo nuovo strumento.

Come è andata a finire con questo “Internet” lo sappiamo tutti ora, l’invenzione del secolo (o del millennio) ha cambiato il mondo, ma ha anche generato una serie di mostri. Fra tutti, quelli che trovo più deprimenti, sono i cosiddetti blogger, soprattutto quelli che scrivono di viaggi.

Attenzione, non parlo di chi apre un blog per condividere le proprie idee oppure le proprie esperienze, non c’è nulla di male nel farlo, anzi, credo che tutti dovrebbero prima o poi crearne uno (certo, è più facile scrivere frasi profonde su facebook, lo so).

In questi anni ho conosciuti “virtualmente” moltissimi blogger assolutamente deliziosi/e, quelli che considero “mostri” sono quelli che vogliono spiegarti come si viaggia, quello che devi  indossare, cosa devi mangiare. Il tutto con il miraggio di vivere di questa “passione”, di mollare il noioso lavoro d’ufficio (lo stesso che ha permesso a tuo padre di mantenerti per i primi 25 anni della tua vita, ndr) e attraversare il mondo con la tua Nikon e il tuo iBook (si sa, il vero blogger usa solo computer della Apple) e condividere con una pletora di follower adoranti le tue esperienze di vita.

Fino a qua tutto bene, magari sono semplici sognatori che agli occhi di un anziano come me fanno un po’ sorridere, oppure sono semplicemente invidioso (io, che ho sfidato a braccio di ferro O.J. Simpson?). Succede che però un giorno ne conosci qualcuno, e la tua fiducia sulle future generazioni inizia a vacillare.

Per motivi di lavoro, qualche anno fa, ho incontrato dei blogger di viaggi, e ho scoperto un mondo fatto di personaggi rancorosi e presuntuosi, convinti di essere sempre viaggiatori e mai turisti, il cui unico scopo era quello di esibire i propri viaggi come trofei di caccia, sempre alla ricerca di scroccare notti in albergo, che confrontavano fra di loro il numero di follower, per vedere chi ce l’aveva più lungo. O forse sono stato sfortunato, e ho conosciuto quel 5% di narcisisti che popolano il mondo dei blog, non saprei.

Poco dopo ho avuto una blogger come collega, che evidentemente rientrava in quel 5%.

Mentre mi raccontava del viaggio della sua vita, in Australia, io le dichiarai il mio amore per Bruce Chatwin, l’uomo che da “travel writer” divenne “travelling writer”, il vero unico blogger di viaggi che sia mai esistito, e le chiesi se prima o durante la sua permanenza in Oceania avesse letto il suo “The Songlines”.  La tipa mi guardò perplessa e pur ammettendo di conoscere quello scrittore, se pur vagamente, mi disse che quel libro non lo aveva letto.

Ma come, vai in Australia, ti vanti di essere una “scrittrice” di viaggi e non leggi Chatwin? Da uno scrittore di viaggi non mi aspetto la lista delle cose da vedere o da fare (per quello ci sono le guide), e neppure dove fare shopping e dove mangiare (di nuovo, per quello ci sono le guide). Da una persona che scrive di viaggi non voglio sapere da quale terrazza si gode la migliore vista di Lisbona, voglio sapere come si sentiva mentre si trovava li, voglio che con le sue parole mi trasmetta le emozioni che ha provato.

Non me ne faccio nulla di aneddoti rubati da qualche libro, preferirei sapere che la ragazza del chiosco vicino alla stazione dei treni di Galway aveva degli occhi blu dentro ai quali sarei affogato volentieri (cosa vera tra l’altro).

A volte è meglio un buon libro che parla di una città o di un viaggio, piuttosto di una settimana passata a fare selfie davanti a monumenti con l’unico scopo di avere un timbro in più sul passaporto.

Anche Bruce Chatwin si faceva selfie, di un certo livello però.

Dunque, per tutti quelli che quest’estate non sono riusciti a viaggiare ho deciso di fare una lista di sette libri (più uno) che vi proietteranno in posti lontani ed esotici. Ovviamente essendo un cazzaro non è detto che questi otto libri li abbia letti tutti, ma che importa, conta solamente l’apparenza.

  • Strade blu – William Least Heat-Moon. Ho scoperto questo libro attraverso la rivista di fumetti “Corto Maltese” (in edicola fino al 1993 circa) che oltre ad uscire mensilmente con il meglio del fumetto mondiale (Frank Miller, Alan Moore, McKean e molto altro) aveva rubriche che parlavano di cultura in generale, libri inclusi. Questo è Il Libro on the road degli anni ’80, al punto che gli amici della Mondadori  decisero di chiamare una loro collana proprio “Strade Blu”.  Sulla soglia dei quarant’anni un professore universitario (William Trogdon) viene lasciato dalla moglie e perde il lavoro. Al posto di compiere una strage trasforma un vecchio van in una specie di camper, ribattezzandolo “Ghost dance”, abbandona per sempre il suo nome Europeo, adotta in modo definitivo quello dei suoi antenati Osage, Least Heat-Moon, ed inizia ad attraversare le strade provinciali degli USA (che sulle mappe hanno il colore blu, da qui il titolo originale “Blue Highways”). Lungo il suo viaggio incontra decine di persone, parla con loro, recupera storie dimenticate. Alla fine ne esce un libro che è un ritratto straordinario della provincia americana.  Sono passati quasi 40 anni dalla sua uscita ma leggerlo resta ancora un viaggio  emozionante.
Frontespizio del libro “Strade Blu”, da notare la diciture “volume di seconda scelta”
  • Le vie dei canti – Bruce Chatwin. La madre di una mia ex ragazza aveva ricevuto “In Patagonia” di Bruce Chatwin da un suo amico di gioventù, amante dei viaggi. Me lo prestò e lo lessi in un paio di giorni di un’estate, molti anni fa,  per questo quando trovai “The Songlines” (titolo originale de “Le vie dei canti”) in una bancarella a Cracovia nel 1992 lo acquistai al volo, e altrettanto velocemente lo lessi. Scritto nell’arco di tre anni, dal 1983 al 1986, in questo libro la sua ossessione per il viaggio, per l’essere nomade si fonde con la cultura Aborigena. Proprio durante la stesura del libro Chatwin scopre di essere malato di AIDS (all’epoca una malattia ancora misteriosa e maledetta), si rende conto di essere mortale, e grazie a questo suo stato d’animo le vie dei canti degli aborigeni acquistano un significato ancora più profondo. Per la prima volta dalla scoperta della sua malattia ammette a se stesso che la fase “viaggiante” della sua vita sta per finire, per questo credo che “The Songlines” sia il suo libro migliore.
Bruce Chatwin a 20 anni, quando ancora lavorava da Sotheby’s.
  • I viaggi di Gulliver – Jonathan Swift. Capolavoro della letteratura di viaggio, è uno di quei libri con immagini talmente forti che spesso ci ricordiamo solamente un paio di episodi a discapito di tutti gli altri. Alzi la mano chi non si ricorda di Gulliver gigantesco nel paese di Lilliput, oppure di un Gulliver minuscolo nel paese di…e qui iniziano i guai. Perché se chiunque conosce il nome del popolo minuscolo (Lilliput) nessuno sembra ricordarsi quello del popolo gigantesco (Brobdingnag, così vi risparmio una gugolata). A noi è arrivato come un libro per bambini, ma in realtà è uno dei più gradi esempi di satira politica di tutti i tempi. Informazione da Settimana Enigmistica: il motore di ricerca Yahoo deve il suo nome al popolo dalle fattezze umane (gli yahoos) che popolava la terra degli Houyhnhnms, terra dominata invece dai cavalli, gli esseri più intelligenti di quell’isola.
  • Manhattan – Woody Allen. Non sono mai stato a New York, è una di quelle cose che mi porto dietro con un certo rimpianto. Certo, ho dormito su di un materassino da palestra dentro una chiesa a Lincoln, Nebraska, ma non ho mai visitato la “grande mela”. Per questo quando ho visto il film Manhattan di Woody Allen (al cinema) mi sono innamorato di quella città e mi sono subito procurato il libro. Il modo in cui Allen fotografa Manhattan, con quel bianco e nero che ti fa perdere il fiato, non può che incantare, oppure mi sono fatto fregare dagli zigomi di una giovanissima Mariel Hemingway (sui livelli di Nastassja Kinski se si parla di bellezza). Ma da solo l’incipit  vale il prezzo del libro (o del biglietto): “Capitolo primo. “Adorava New York. La idolatrava smisuratamente…” No, è meglio “la mitizzava smisuratamente”, ecco. “Per lui, in qualunque stagione, questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero e pulsava dei grandi motivi di George Gershwin”. Magari Manhattan e New York non sono più così, ma non mi importa, per me saranno sempre una fotografia in bianco e nero.
Copertina del libro Manhattan
  • Cuore di tenebra – Joseph Conrad. Vorreste andare in Africa ma il caldo e le zanzare vi danno fastidio ? (evitate anche la laguna di Venezia se è così) Ecco il libro che fa per voi. Come i fedeli lettori di questo blog sapranno, vidi Apocalypse Now a circa 13 anni, nella splendida (e decadente) sala del cinema teatro Italia di Venezia in compagnia di mio padre. Anni dopo, d’estate, vidi la versione extended in un cinema all’aperto e, per capirci qualcosa, decisi che avrei dovuto leggere la fonte ispiratrice, ovvero “Cuore di tenebra”. Scritto in un inglese semplice ma al tempo stesso ricco, questo libro è un vero e proprio viaggio negli inferi della foresta tropicale africana, e contemporaneamente è il racconto della discesa negli abissi della follia umana. Il clima tropicale di questa estate rende la lettura di alcuni passaggi quasi a 3D, ancora più piacevoli.
The Horror, the horror. Cuore di Tenebra.
  • Pyongyang – Guy Delisle. La Corea del Nord è il sacro graal di tutti i turisti, ops, viaggiatori. Se non volete rompervi le palle con visti, ore di aereo, momenti imbarazzanti ecco il libro che fa per voi. Non è un romanzo, bensì una “graphic novel” disegnata da un cartoonist a mio avviso straordinario. Il canadese Guy Delisle in questi anni si è trovato a viaggiare ovunque per motivi del suo lavoro (collabora con una società Canadese che produce film d’animazione, per questo è stato a Shenzen e a Pyongyang), e un po’ per seguire il lavoro della moglie (vedi “Cronache di Gerusalemme” e “Cronache Birmane”). La sua mano è delicata, il suo tratto semplice ma espressivo, inoltre il buon Guy ha uno spirito d’osservazione degno di un bambino curioso, e i suoi libri finiscono per essere dei veri e propri documentari dei posti che visita. Finito questo libro avrete l’impressione di aver attraversato quei giganteschi boulevard vuoti, e vi sembrerà strano non vedere persone che camminano all’indietro (questo è un mezzo spoiler, sorry).
Copertina di Pyongyang, nell’edizione italiana
  • Il giardino luminoso del re angelo – Peter Levi. A parte la prefazione di Terzani (alla quale avrei preferita una di Fabio Volo, ma si sa, non si può avere tutto), questo libro ha un peso specifico notevole. Non scorre molto bene, ma se si riescono a superare i primi due capitoli arrivi all’ultima pagina che quasi ti dispiace sia finito. La versione pubblicata da Einaudi  è arricchita anche da alcune foto fatte da Bruce Chatwin (dimenticavo, era anche un buon fotografo), compagno di viaggio dell’autore, un gesuita inglese archeologo, che nel 1969 viaggiò lungo l’Afghanistan sulle tracce di Alessandro Magno. Ammetto che la scrittura non è come quella di Bruce, ma l’idea che Peter Levi abbia viaggiato con un Chatwin nemmeno trentenne e che quell’Afghanistan sia ormai un posto che non esiste più, dona a questo libro un aurea speciale al punto da aver conquistato un posto di riguardo nella mia memoria di lettore. Raccomandato per chi ha la macchina del tempo rotta e vorrebbe tanto trovarsi a fine anni ’60 tra le vallate del Nuristan.
  • Shantaram – Gregory David Roberts. Quando la mia giovane (e carina) collega inaspettatamente mi regalò questo libro per un mio compleanno circa un decennio fa, deglutii a fatica. Per qualche strano motivo si era fatta l’idea che io fossi un avido lettore, e per dimostrarmi la sua stima aveva pensato bene di prendermi questo tomo di quasi 1200 pagine. Devo ammettere che la paura è durata giusto le prime 10 pagine, poi il libro mi ha risucchiato dentro alla storia incredibile di questo australiano. Leader studentesco nei primi anni ’70, catturato nel 1978 in seguito ad una rapina (fatta con una pistola giocattolo) riesce a scappare lo stesso anno, ovviamente con un passaporto falso, passa dall’India dove, tra le mille cose che fa, combatte a fianco dei Mujaheddin contro i sovietici, poi finisce in Germania, fonda una band punk ed infine viene catturato dall’Interpol e rispedito in carcere in Australia. In mezzo però c’è l’India raccontata in questo libro, l’India che io non ho mai visto, ma che alla fine del libro mi è sembrata di conoscere come Mestre (avrei potuto scrivere Cannaregio, il mio sestiere di Venezia, ma non è il caso di esagerare). Non c’è una pagina superflua delle quasi 1200 scritte da Roberts, inutile che vi racconti il libro, l’Estate non è ancora finita e sicuramente fate in tempo a leggerlo. E se così non fosse pare che i diritti cinematografici del romanzo li abbia acquistati Johnny Depp, magari ci scappa pure un film.
Si riesce a percepire lo spessore del dorso?
  • I corsari delle Bermude – Emilio Salgari. Ci sono due cose che tutti sanno su Emilio Salgari, la prima è che non ha mai viaggiato (se si eccettua una notte in piroscafo tra Venezia e Bari), la seconda è che è morto suicida, schiacciato dalla depressione e dai debiti. I suoi libri sono stati best seller nei primi anni del ‘900, e poi lentamente sono stati dimenticati, fino a quando a metà anni ’70, grazie al successo incredibile dello sceneggiato televisivo Sandokan, tutti si sono nuovamente ricordati dello scrittore veronese (con madre veneziana). Adesso penso sia di nuovo caduto nel dimenticatoio, e invece credo andrebbe recuperato. Le trame dei suoi libri, i colpi di scena, le ambientazioni esotiche e storiche rendono i suoi romanzi ancora godibili. Come questa trilogia sui corsari delle Bermude, nella quale Salgari narra la lotta fra il bene e il male, rappresentati da due fratelli nobili inglesi, con la guerra di secessione americano sullo sfondo e la solita bella donzella da salvare. Forse non proprio un vero romanzo di viaggi, ma la prova scritta che con un po’ di fantasia si può viaggiare ovunque.
Il tomo di Salgari

Bene, tanto vi dovevo e tanto vi ho dato.

Adesso vediamo di iniziare a leggere qualche libro.

13 commenti Aggiungi il tuo

  1. Vincenzo ha detto:

    gran bel post, sia per la parte iniziale – che condivido, anche se spesso ammetto di cadere anch’io in quelle trappole che giustamente biasimi – sia per i libri che hai elencato, almeno tre dei quali Strade blu, Manhattan e Cuore di tenebra, mi sento di consigliare spassionatamente, soprattutto il primo…

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Grazie! Diciamo che con un po’ di autoironia tutto si sopporta 🙂 Sono contento che condividi il giudizio positivo su quei tre libri (che confesso di aver letto per davvero), e su Manhattan avevo un sospetto che ti sarebbe piaciuto … 😉

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  2. Gisella ha detto:

    Quindi, dimmi: quali sono quelli che non hai letto? 🙂

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Beh, mica posso dire tutto! Però degli 8 titoli ammetto di NON averne letto solamente uno 😊

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      1. Gisella ha detto:

        Hai ragione. Comunque la tua risposta mi basta! 😀

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  3. Adoro Chatwin e Swift. E anche Salgari, confesso. Quindi a questo punto mi segno anche gli altri.
    Quando non riesco a viaggiare a volte mi sento inquieta, ma i libri sono sempre un’ottima cura.
    Questo blog mi interessa molto, sono contenta di averlo scoperto grazie a “L’ultimo spettacolo”. Tornerò.
    A presto
    Alexandra

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Grazie Alexandra. I libri sono un universo infinito, ma come diceva Troisi: “Loro sono un milione (che scrivono) e io sono uno solo che legge”, insomma è una battaglia impari ma una delle poche che vale la pena combattere.
      A presto
      Riccardo

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  4. Celia ha detto:

    Strade blu sono andata a recuperarmelo.
    Detta questa fondamentale cosa, lo sai che hai un bellissimo dito?
    (No, dico sul serio!).

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      ooohhh, grazie mille. Detto da te (sono pigro, ho letto poco il tuo blog per adesso, ma quel poco è “bello”, sia nella forma che nei contenuti). E per la cronaca, ho fatto in tempo a studiare dattilografia per due anni e , incredibile a dirsi, digito con 10 dita ! 🙂
      Strade Blue ti piacerà, fammi sapere.

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      1. Celia ha detto:

        Un decadattilo, wow! 😀
        Grazie. Lo sforzo del pigro è sempre doppiamente apprezzato, e te lo dice una pigra… prenditi i tuoi bradiposi tempi, tanto io qui sto 😉

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      2. Il Poltronauta ha detto:

        Prometto di farlo. Oggi, con vaporetto in avaria (giuro che è vero) davanti all’isola di San Giorgio, che poi è difronte a San Marco, mentre i passeggeri guardavano nervosi fuori dei finestrini, io iniziavo l’autobiografia di Zoff (!?), e piangevo come un bambino 😉
        (A proposito di decadattilo è semplice, dividi la tastiera in due, e assegni ad ogni dito della mano destra un gruppo di lettere del blocco di destre, il primo all’indice e l’ultimo al mignolo, Ripetere per la mano sinistra. Mentre il pollice si limita a pigiare la barra dello spazio…et voilà)

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      3. Celia ha detto:

        Sei un mito. Io di dita ne uso 6, e del tutto a caso. Abitudine.
        Non posso commuovermi insieme a te su Zoff, peccato, ma apprezzo le biografie. Un altro punto per te!
        Come dire, buon (non) ritorno dunque…

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      4. Il Poltronauta ha detto:

        Alla fine dal vaporetto sono sceso, con calma però. Su Zoff ho pure scritto un post, era il portiere di (parte) della mia generazione, e poi è un furlano, un uomo d’altri tempi. un Uomo insomma 🙂
        Per il ritorno, opterò per una lunga passeggiata, basta vaporetti per oggi.

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