I’ve seen things you people wouldn’t believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion.
I watched C-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate.
All those moments will be lost in time, like tears in rain. Time to die.
Rutger Hauer / Roy Batty – Blade Runner
Da ragazzino avevo un amico poco più grande di me. Figlio di un noto critico cinematografico, dal padre aveva ereditato la passione per la quinta arte e un look da anziano intellettuale, incluso l’utilizzo del loden nei mesi invernali. Un giorno, poco dopo l’inizio della Mostra de Cinema mi disse qualcosa tipo: “Ieri in Sala Grande (sala principale della Mostra del Lido, ndr) ho visto il futuro del cinema”, simile alla frase che qualche anno prima Brian Eno aveva detto a David Bowie dopo aver ascoltato “I Feel Love” cantata da Donna Summer e prodotta da Giorgio Moroder (in realtà lui disse: “Ho sentito il suono del futuro”).
Il “futuro” visto dal mio amico era “Blade Runner” di Ridley Scott, un regista inglese sulla quarantina, reduce dal successo di “Alien”, che scelse proprio la Mostra di Venezia per presentare il suo terzo lungometraggio.
Il futuro, nel mio caso, dovette attendere.
Intravidi per la prima volta “Blade Runner” in Campo del Ghetto, a Venezia, durante la festa dell’Unità, “proiettato” da video cassetta direttamente su di un muro di televisori, mentre fuori il campo gremito ascoltava i politici di turno parlare sul palco.
Per fortuna che in città c’erano dei Cinema d’Essai (per la precisione il cinema Accademia e il cinema Olimpia, già noti ai lettori di questo blog), così quasi ventenne riuscii a vedere il capolavoro di Ridley Scott sul grande schermo.
Il mio amico aveva ragione, oltre ad essere il “futuro”, Blade Runner era un film sostanzialmente perfetto, con attori in stato di grazia e mai così bravi (a parte Harrison Ford), giovani e bellissimi, come Sean Young e Daryl Hannah, entrambe poco più che ventenni, oppure belli e basta, come lo statuario Rutger Hauer.
Senza dimenticare la musica di Vangelis, e quell’atmosfera fatta di ambienti chiusi, strade affollate, piene di asiatici e una pioggia perenne, che verrà copiata decine di volte in altri film di fantascienza.

Oltre alla trama bellissima, che ripercorre le atmosfere di Prometeo e di Frankenstein, il film è pieno zeppo di battute straordinarie, su tutti il monologo finale di Rutger Hauer / Roy Batty (pare improvvisato dallo stesso attore sullo script originale), ma ce ne sono almeno una mezza dozzina che mi ricordo a memoria tipo l’interrogatorio/test che Deckard/Harrison Ford fa a Rachel/Sean Young :
– You’re reading a magazine. You come across a full-page nude photo of a girl.
– Is this testing whether I’m a replicant or a lesbian, Mr. Deckard?
Oppure quando i replicanti arrivano nel negozio gestito dal cinese costruttore di occhi, in cerca di risposte sulla loro longevità, e vengono riconosciuti dal loro “padre”:
– Don’t know, I don’t know such stuff. I just do eyes, ju-, ju-, just eyes… just genetic design, just eyes. You Nexus, huh? I design your eyes.
– Chew, if only you could see what I’ve seen with your eyes!
Uno dei personaggi meno appariscenti del film è il poliziotto Gaff, interpretato da Edward James Olmos (quasi 30 anni dopo sarà il carismatico comandante Adama nella miglior serie fantascientifica di questo millennio, “Battlestar Galactica”), un incazzoso piedipiatti dalla faccia butterata, che oltre a regalare un’altra battuta cult, questa volta riferita alla giovane e bellissima replicante Sean Young (It’s too bad she won’t live! But then again, who does?) durante tutta la pellicola continua a produrre dei piccoli origami a forma di unicorno (indovinate chi rappresenta?).

Ma è inutile che vi faccia una recensione vera sul film, non ne sarei capace, per quella ci sono blog migliori, come quello degli amici de L’Ultimo Spettacolo (anche se temo non abbiamo mai recensito il Blade Runner originale.)
In un periodo nel quale i film si usufruivano solamente al cinema o, altrettanto raramente in TV, in un mondo senza streaming o torrent, la proiezione di una pellicola colpiva simultaneamente qualche decina di persone, e mi ricordi che potevi capire se “Blade Runner” era stato proiettato in qualche sala di Venezia dai piccoli origami che uno o più fan del film lasciava in giro per la città, come le briciole di Pollicino, anche se spesso più che per terra, li trovavi appoggiati su qualche finestra murata, a fianco di lattine di birra riempite di cicche di sigarette, oppure incastrati in qualche fessura di muri fatti di mattoni.
L’origami è un mood che prima o poi capita a tutti, e prevedibilmente io mi ci appassionai dopo lamia prima visione di Blade Runner, al punto che mi comprai un piccolo manuale per eseguire forme sempre più complesse.

Quel manuale ce l’ho ancora, ed è “merito” suo se mia figlia, per un breve periodo della sua vita, si appassionò degli origami. Ma siccome sono un padre che tende a spiegare le cose, che non crede nel divertimento puro e crudo, quando iniziammo a costruire i primi aironi e le prime gru, raccontai la storia di Sadako Sasaki, che al solito avevo letto da qualche parte.
Quando gli americano sganciarono la bomba di Hiroshima, Sadako aveva poco meno di 3 anni, nonostante abitasse a nemmeno 2 km dall’epicentro dell’esplosione riuscì miracolosamente a sopravvivere, ma come tutti gli abitanti di quella città subì il fallout nucleare, la pioggia nera, fatta di detriti e polvere altamente radioattiva.
Nonostante questo la ragazzina crebbe in piena salute, e fu solamente poco prima di compiere 12 anni che le radiazioni assorbite quasi 10 anni prima presentarono il conto, prima con dei gonfiori al collo, poi alle gambe. Come molti bambini di Hiroshima le radiazioni della bomba le avevano causa una grave leucemia. Sadako fu costretta in ospedale, per i mesi successivi.
Ad un certo punto del suo lungo ricovero ospedaliero, una sua compagna di stanza le raccontò la leggenda sulle 1000 gru-origami, cioè quella storia che diceva che chiunque fosse riuscito a costruire 1000 gru-origami avrebbe avuto un desiderio esaudito.
Così la piccola Sadako inizio a trasformare qualsiasi pezzo di carta le capitasse sotto mano in gru, convinta, come solo i bambini possono essere convinti, che alla fine avrebbe avuto la sua ricompensa, che il miracolo si sarebbe avverato.
Continuò notte e giorno, aiutata dai suoi amici, mentre le radiazioni non smettevano di trasformare il suo corpo. Qui la storia prende due direzioni diverse, in base alle fonti prese in considerazione, c’è chi dice che finì le sue 1000 gru, chi invece sostiene che le gru da lei create furono solamente 644 mentre le restanti 366 furono completate successivamente dai suoi amici.

Quel che è certo è che se ne andò poco prima di compiere 13 anni (come avrebbe detto il poliziotto Gaff quasi trentanni dopo: It’s too bad she won’t live! But then again, who does?).
Al solito, aveva ragione il caro vecchio Faber: E a un Dio a lieto fine non credere mai
I tuoi articoli sono sempre bellissimi, poi quando ci metti dentro il cinema ancor di più, almeno per me. Grazie per averci citato, in effetti non abbiamo ancora recensito Blade Runner, ma dopo questo tuo post sarebbe un azzardo anche solo provarci, perché il tuo approccio poliedrico, non esclusivamente cinematografico, è inimitabile. 😉
A parte tutto, in realtà ne parleremo a breve perché tra qualche settimana partiremo con una classifica dedicata al cinema di fantascienza e BR non potrà mancare, perché come hai ben detto tu, BR è il futuro, é lo è ancora oggi.
Che poi hai giustamente messo in rilievo la questione degli origami ed è curioso che in un film così futuribile un “oggetto” così semplice e banale come un origami di carta sia così importante per la storia (lo è, ovviamente, nelle versioni del film successive a quella dell’82, perché lì in effetti era messo lì senza un significato)…
Vabbè mi sono dilungato anche troppo, ancora complimenti per l’ottimo articolo! Ciao
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Ciao Vincenzo. Grazie per le belle parole. Aspetto con i soliti popcorn e seduto in divano il vostro pezzo su Blade Runner (ho provato a scrivere BR, ma mi continuava ad apparire la faccia di Aldo Moro, sorry). A questo punto mi faccio forza e provo a vedere il sequel, anche se non mi sembra vi sia piaciuto troppo. A la prossima allora 🙂
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Sì in realtà br2049 (scusa, io continuo con l’abbreviazione ma solo per comodità😉) a me è piaciuto, a differenza di Paolo, che si è occupato della recensione sul sito. Ovviamente non siamo ai livelli del primo, ma ciò sarebbe stato francamente impossibile. Se e quando lo guardi facci sapere che ne pensi. A presto!
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