10 canzoni (+6) per un addio

De Foire en Foire,
De Verre en Verre,
De Boire en Boire,
Je Mords Encore a Pleine Dents,
Je Suis un Mort,
Encore Vivant

La Chanson De Van Horst – Jacques Brel (epitaffio sulla tomba di Noel Rota)

Tra i vari libri inutili che ho a casa spicca questa tomo su Batman, circa 10 “episodi” raccolti in un’unica edizione, “episodi” che spaziano dal primo in assoluto fino ad uno della fine degli anni ’70, quando fu pubblicato il volume.

Si tratta di una raccolta interessante, che permette di vedere l’evoluzione dei disegni e delle tematiche affrontate dal cavaliere oscuro. In una delle ultime storie c’è un’anomalia nel mondo dei fumetti dell’epoca pre Frank Miller, improvvisamente uno dei personaggi “cresce”, infrangendo una delle regole non scritte di quest’arte, cioè l’assenza dello scorrere del tempo.

In questo episodio Robin (ovvero Dick Grayson) lascia la magione di Bruce Wayne per andare al college e mentre è in taxi pensa tra sé e sé:  “Io… io odio i lunghi addii”. Da ragazzino, leggendolo, non riuscivo a capire questa frase, perché se il termine “addio” ancora non era presente nel mio vocabolario, non potevo certamente comprendere il concetto di “lungo addio”.

Crescendo questa parola mi è diventata famigliare, vi confesso però che non la amo molto, anzi, se Dick odiava i lunghi addii, io non accetto nemmeno i corti. Per spiegarmi meglio, si può dire addio a molte cose: ad un libro che ti è piaciuto e che hai finito (a me è capitato con lo Hobbit, da ragazzino), oppure ad una casa che abbandoni dopo anni, ad una maglietta ormai consumata dal tempo. Puoi dire addio ad una fase della tua vita, ad un luogo amato che sai non rivedrai mai piu.

Ultimamente ho staccato la spina al mio sogno d’amore palindromo**, avrei dovuto farlo prima, ma si sa, sono pessimo con gli addii. Così, per rendere meno amari i finali non happy, ho pensato che potrebbe essere interessante affrontarli con una colonna sonora degna, selezionata con amore da me.

Mentre leggete il post potete ascoltare la playlist cliccando su uno di questi due link: Spotify oppure Music

Spero che in qualche modo riesca a rendere i vostri addii meno duri, più  sopportabili.

Piccolo spoiler, con me non ha funzionato.

1. Si je m’en vais – Les Negresses Vertes
Regola numero 1 di ogni playlist: iniziare con un pezzo solo musica senza parole, in teoria si dovrebbe anche chiudere così, ma non è obbligatorio. Partiamo dunque con un pezzo acustico de “Les Negresses Vertes”, un collettivo multietnico di pazzi francesi, che ebbe una notorietà incredibile a cavallo degli anni ’80 e ’90, fino a quando Helno Rota (vero nome Noel, nato il giorno di Natale da una famiglia italiana emigrata a Parigi) cantante carismatico della band, morì di overdose a soli 29 anni, facendo tramontare anche il resto del gruppo.

In fin dei conti parliamo di addii in questo post, mi sembra giusto iniziare così.

2. Je suis venu te dire que  je m’en vais – Serge Gainsbourg
Visto che partiamo “francesi”, mi è venuto in mente quel geniaccio di Serge, che solo per aver sposato  Jane Birkin, una delle donne più belle dello scorso secolo (e aver commesso atti impuri pure con Brigitte Bardot all’apice della sua bellezza) meriterebbe un posto speciale nell’olimpo degli dei di ogni uomo etero, se si tiene conto poi che era pure proprio bruttino e che era un grandissimo artista,  l’invidia raggiunge il soffitto. Qui canta uno splendido pezzo, con un gioco di parole fenomenale e con un riff che gli Air (altra band francese) sicuramente conoscono a memoria.

Per chi ha avuto il coraggio di guardare in faccia la persona che amava per dirle che se ne stava andando (non via SMS).

Jane and Serge (trovatevi una donna che vi guardi come la Birkin guarda Gainsbourg, e sarete l’uomo più felice del mondo).

3. Hey, that’s No way to say goodbye – Leonard Cohen
Un altro uomo bruttino (un po’ meno rispetto a Serge) ma molto amato da donne bellissime (se non ci credete cercate on line la vedova Cohen). Più conosco le sue canzoni, anche le più recenti, più penso che il buon vecchio Leonard sia un poeta straordinario. Qui ad un certo punto dice: “But let’s not talk of love or chains and things we can’t untie/Your eyes are soft with sorrow/Hey, that’s no way to say goodbye.” Esatto, l’amore e le catene sono cose che non si possono slegare.

Per tutti quelli/e che hanno detto addio, senza riuscire a liberarsi delle/dalle catene, dolci o meno che siano.

4. Morning Theft – Ane Brun
Dalla Norvegia con furore, Ane Brun è una delle voci più belle dei primi anni 2000. Avrei immaginato una carriera più luminosa, ci avrei pure scommesso, ma indovinate chi non vince mai una scommessa? Resta però un piacere ascoltarla, qui reinterpreta uno dei brani del secondo album di Jeff Buckley, uscito postumo e abbozzato. Ane ne fa una versione più pulita, quasi asettica, ma altrettanto toccante. “Meet me tomorrow night/Or any day you want/I have no right to wonder/Just how, or when”.

Per chi un addio l’ha fatto alla mattina, ma alla sera già aveva cambiato idea.

5. Your Ghost – Kristin Hersh
Una della canzoni manifesto degli anni ’90, non a caso ospita Michael Stipe, vera e propria icona di quel decennio. Scritta dalla stessa Kristin si presta a molte interpretazioni, io credo che semplicemente racconti dell’impossibilità di liberarsi del “fantasma” del proprio ex, di come non riesca a dirgli addio come dovrebbe. Mi conforta sapere che non sono l’unico che non c’è ancora riuscito.

Per tutte le persone che non hanno avuto ancora il coraggio di cancellare il numero del proprio ex dal telefonino.

6. Puff, the Magic Dragon – Peter, Paul & Mary
Si può dire addio a tante cose, non solo alla persona che si ama. Si può dire addio ad una casa, ad un cappotto che tanto amavi, a 10 chili di troppo che circondano il tuo addome (mai successo a me). Oppure si può dire addio alla tua infanzia, anche se difficilmente lo capisci mentre lo stai facendo. Da ragazzino vidi al cinema Malibran di Venezia “Elliott drago invisibile”, un film “vero” misto ad animazione, che racconta di questo drago invisibile che aiuta un ragazzino (che praticamente è anche l’unico che può vederlo), alla fine del film, quando ormai il ragazzino ha risolto i suoi problemi, Elliott lo lascia per andare ad aiutare un altro bambino. Ecco, mi ricordo di aver pianto come un bambino (appunto) all’epoca, forse perchè avevo capito che solamente i bambini possono immaginarsi un drago invisibile (forse anche gli adulti, ma in quel caso devono drogarsi) e io stavo diventando grande e una creatura immaginaria non l’avrei mai più vista. Questa canzone non c’entra nulla con il film, ma me lo ricorda. Il trio folk “Peter, Paul & Mary” penso intendesse ben altro, qualcosa a che fare con l’assunzione di LSD o con le punture di marjuana,

Per quelli che alla fine sono diventati adulti e vorrebbero tanto vedere i draghi, senza drogarsi.

7. Sad to know ( You’re leaving) – Gregory Isaacs
Ora, di “Puff the Magic Dragon” c’era pure una versione del giamaicano Gregory Isaacs, che di fumo e draghi immaginari se ne intendeva molto ma di lui ho preferito scegliere questo pezzo “roots”, dove canta del dolore di una separazione. Ma Gregory non dispera, si aggrappa a Jah e spera che l’amata ritorni. Il brano si trova in uno dei più intensi album di reggae degli anni ’80, “Night Nurse”, 8 pezzi suonati dai “Roots Radics”, la miglior sezione ritmica giamaicana (mettiamoci pure Sly & Robbie e i Wailers, che poi se leggono il post mi tolgono l’amicizia su Facebook). Ci sono poche immagini live di Gregory Isaacs di quel periodo, ma cercatele, lui ha un fisico asciutto  e una cascata di dreadlocks, ancheggia come se stesse accoppiandosi con ognuna delle centinaia di donne nella platea che pendono dalle sue labbra. A trent’anni Gregory Isaacs, all’apice della sua forma fisica, produce il suo capolavoro, il punto più alto della sua carriera. Poi il declino, cocaina e alcool lo distruggono fino ad una morte prematura a soli 61 anni.

Brano per chi ammette l’addio, ma prima si fuma l’impossibile e poi lo affronta con ritmo.

8. Picture of you – The Cure
Questa canzone ha 30 anni, a pensarci mi tremano le vene dei polsi. Fino a “Disintegration” (l’album che contiene questo pezzo) non sapevo nemmeno chi fossero The Cure, o meglio, li avevo relegati alla musica pop di facile ascolto. Poi nelle lunghe notti del servizio militare mi sono ritrovato ad ascoltare in loop la cassetta di questo disco, mentre leggevo, sempre in loop, la saga del Cavaliere Nero di Frank Miller. Le due cose per me saranno sempre legate, ma non credo vi interessi. Qui ancora una volta si canta di un amore finito, di un addio ad una donna che si è persa nel freddo, nel buio.  “If only I’d thought of the right words/I could have held on to your heart/If only I’d thought of the right words/I wouldn’t be breaking apart/All my pictures of you”.

Per tutti/e quelli/e che al momento dell’addio non sono riusciti/e a trovare le parole giuste, e che ancora pensano che così avrebbero potuto evitarlo.

9. Rimmel – Francesco De Gregori
A proposito di fotografie, in “Rimmel” c’è una delle strofe più amare della canzone italiana, quel “è tutto quel che hai di me, è tutto quel che ho di te” riferito ad una fotografia dove la “Venere di rimmel” sorrideva e non guardava. Non ho trovato nessuna notizia in merito, ma ogni volta che ascolto il primo De Gregori ho l’impressione che, oltre a Bob Dylan e Leonard Cohen, il cantautore romano (all’epoca ventiquattrenne) conoscesse molto bene anche Nick Drake. E sempre a proposito di fotografie,  ricordo che tra tutte quelle che scattai alla mia prima ragazza ce n’era una con lei che mi fissava con aria imbronciata; quando ormai ci stavamo dicendo addio la stampai su di un foglio A4 e dietro scrissi “Quella foto in cui tu non sorridevi e mi guardavi”, così, come gesto poetico.

Per quelli che son riusciti a dire addio alla loro ex, ma continuano a conservane le fotografie.

Oppure era Rommel?

10. The Thrill is Gone – Chet Baker
Standard jazz del 1931, ho sempre pensato che fosse la risposta ad un altro standard, “You’re my thrill”, salvo scoprire che invece era stato scritto prima, peccato. Ovviamente la versione che preferisco è quella di Chet Baker, chi meglio di lui può cantare di un amore che finisce? Di un addio inevitabile,  di una passione che sfiorisce?

Per le persone che si sono dette addio troppo tardi.

11. Solitude – Billie Holiday
Standard jazz per standard jazz a questo punto calo l’asso, ovvero sua maestà Billie Holiday. Troppe cose da dire sulla Lady Day, violentata a 10 anni, poi prostituta e infine quindicenne cantante di night club. Mentre ascoltavo questo pezzo mi sono accorto di come la sua voce e il clarinetto si fondano in un modo unico, magico. Tutti dovrebbero ascoltare una sua canzone, almeno una volta alla settimana. Potevo scegliere un brano a caso della sua enorme produzione, ma mi sono “accontentato” di questa. “In my solitude / You taunt me / With memories / That never die”.

Per chi, dopo un addio, al “chiodo schiaccia chiodo” ha preferito una solitudine satura di ricordi.

Una Billie Holiday esausta che aspetta la sentenza durante il suo preocesso per droga a Philadelphia nel 1947,

12. Last Goodbye – Jeff Buckley
In prima media il mio professore di francese, un tizio miope che indossava il loden anche a Giugno, ci insegnò un modo di dire dei cugini transalpini: “Un repas sans fromage, n’est pas un repas”. (ovvero: Un pasto senza formaggio non è un pasto”). Io ho coniato il detto: “Una playlist senza un pezzo di Jeff Buckley, non è una playlist.” In questo caso le canzoni sono addirittura due, ma è questa, forse, quella che meglio si adatta al tema del post. Una constatazione che qualcosa è finito, che è giunto il tempo dell’ultimo addio. Ma caro Jeff capiscimi, come posso dire addio? Io che nemmeno a te, che non ti ho mai visto, sono riuscito a dirlo?

Per i più bravi, per quelli che, invece, a dire addio ci sono riusciti.

13. And No More Shall We Part – Nick Cave & The Bad Seeds
Ma come si fa a non mettere un brano di Nick Cave in una playlist ispirata all’addio? Canzone dal titolo ingannatorio, in realtà il testo è un po’ criptico, si capisce la tristezza di fondo e comunque per avere la pelle d’oca basta la voce di Nick Cave e intuire una parola qua e là.

Dedicata a tutti quelli che hanno detto addio a qualcuno o a qualcosa, ma non si ricordano esattamente come l’hanno fatto.

14. On the Evening Train – Johnny Cash
Ci sono addii e addii, ma c’è un solo ed unico Johnny Cash, che qui canta l’addio supremo, quello definitivo, quello dell’ultimo saluto, quando ci si affida “a dio”. In questa ballata triste Cash non risparmia nessun colpo basso, ma lui era fatto così, un uomo duro ma dolce al tempo stesso. Canta della morte dell’amata, del suo “ritorno a casa” nel treno della sera e dell’ultimo saluto che lui e il figlio le regalano, Non è una passeggiata, ve lo assicuro, ma per ascoltare la voce de “L’uomo in nero”, qualche lacrima si può spendere.

Per chi, almeno una volta nella vita, ha visto il treno della sera portare a casa una persona amata.

15. Apocalypse – Cigarettes After Sex
Band che non conosco molto, texani anomali con soli 2 album in oltre un decennio di attività ufficiale. Wikipedia li descrive con una band di “ambiente pop”, qualsiasi cosa voglia dire. Onestamente non sono così convinto che sia una buona canzone per un addio, certo una strofa è promettente (“You’ve been locked in here forever and you just can’t say goodbye”), ma in ogni caso è una canzone troppo bella per lasciarla fuori,

Per tutti quelli/e che dopo un addio si sono fumati una bella sigaretta.

16. Ebben? Ne andrò lontana  – La Wally
Negli anni ’80 sbarcarono in Italia molti film di giovani registi francesi come Leo Carax, Luc Besson (già famosi poco più che ventenni) e anche tale Jean-Jacques Beineix che invece aveva esordito con un lungometraggio alla veneranda età di 35 anni. Il film ha un successo straordinario, si chiama “Diva” ed è una specie di giallo che gira attorno ad un nastro pirata, un bootleg, di una cantante lirica che rifiuta categoricamente di registrare i suoi concerti, esattamente l’opposto della nostra Mina (alla quale il film è dedicato, per la gioia dei suoi fan). Non mi ricordo molto del film, mi sembra ci fosse anche una tipa vietnamita, di certo c’è questo brano, che accompagna una scena dove uno dei protagonisti passeggia per casa, una specie di loft buio, enorme, e sostanzialmente vuoto,  con una poltrona da barbiere posta al centro (!?).  Mi colpì così tanto che finii per acquistare il doppio CD con l’opera “La Wally”. E a proposito di Diva, per non sbagliarmi ho scelto la versione della Callas.

Per tutti quelli/e che vorrebbero tanto un addio melomane.

Bonus Track solo per Spotify

True Love Waits – Midnight String Quartet
Mentre cercavo un brano mi sono imbattuto in questo quartetto di archi che ha rifatto centinaia di pezzi pop, niente di nuovo per carità, ma visto che una playlist dovrebbe finire con un brano acustico ecco la loro cover di uno dei più strazianti (ma anche in qualche modo speranzoso) brani dei Radiohead,

Per chi, nonostante l’addio, non si muove, convinto/a che il vero amore aspetti.

**Che poi, certi sogni vivono anche senza spina attaccata. Ci sono persone che non se ne vanno mai, restano li, nella tua vita, fosse solo con la loro assenza.

8 commenti Aggiungi il tuo

  1. Celia ha detto:

    Doloroso spettacolo.
    Ci vorrebbe anche una canzone per chi non sa dire addio alla poltrona (tu) o al divano (io).

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Beh, ci vorrebbe un’intera playlist…:)

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  2. Eva ha detto:

    Gli addii sono sempre dolorosi e, a volte, non finiscono mai.

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Gli addii sono presenze invisibili, sono piccole, microscopiche ferite che non si rimarginano mai, con le quali non resta che conviverci. 😊

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  3. anna sartori ha detto:

    “Farewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d’estate
    con qualcosa di fragile come le storie passate
    forse un tempo poteva commuoverti, ma ora è inutile, credo, perché
    ogni volta che piangi e che ridi, non piangi e non ridi con me” (Guccini, fuori playlist)

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Grazie 😊 mi mancava.

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  4. busterkeaton58 ha detto:

    Tom Waits – Ruby’s arms
    Nel finale della canzone Tom urla la sua disperazione (ma si sa, la voce di Tom è una voce da addio anche se legge l’elenco della spesa)…
    “qualcuno mi metterà su un treno?
    Non ti bacerò mai più le labbra né ti spezzerò più il cuore.
    Mentre dico addio, dirò addio,
    dirò addio alle braccia di Ruby”

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  5. Il Poltronauta ha detto:

    Esatto, la voce di Tom Waits farebbe piangere il cuore anche se annunciasse le fermate del treno notturno Trieste-Lecce. E ognuno di noi ha una Ruby nella vita, almeno se si è stati così fortunati da amare (e volutamente non ho scritto “aver amato”) una persona in quel modo.

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