Searching for Malik

Malik Bendjelloul: In the ’70s and ’80s, did you ever get any contact from South Africa? 

Sixto Rodriguez: Uh… No, I didn’t.  Maybe they didn’t have a contact number or something but, no, I didn’t. 

MB: How does that feel?  You weren’t aware of something that would have changed your life completely.  I mean, probably to the better. 

SR: Well, I don’t know if it would have been for the better,  but it’s certainly a thought, you know. 

MB: But wouldn’t it have been nice to know that you were a superstar? 

SR: Uh, well…  I don’t know how to respond to that. 

MB: After Coming From Reality,  did you wanna continue making albums? 

SR: I would have liked to have continued but nothing beats Reality. 

Malik Bendjelloul intervista Sixto Rodriguez

Malik Bendjelloul

Tutto quello che so sullo scorrere del tempo l’ho imparato leggendo i fumetti di Alan Moore, niente studi in fisica quantistica o cose del genere, mi dispiace, ho sprecato tutto il mio talento in cose inutili, come inseguire fantasmi.

Il tempo semplicemente “è”, esiste sempre come fosse una strada infinita, che è presente in tutta la sua interezza nello stesso istante, mentre noi siamo in una macchina che ci permette di andare solamente in un’unica direzione, quella davanti a noi, senza mai poter rallentare, fermarsi, accelerare, oppure tornare indietro.

Mentre state leggendo questo post, state anche scartando i regali di un Natale di quindici anni fa e siete contemporaneamente seduti su qualche panchina a dar da mangiare ai piccioni, da bravi pensionati. Vi state innamorando della donna della vostra vita e contemporaneamente, tre anni dopo, lei vi sta spiegando con un messaggio che vi ama ma che sta andando da un’altra parte.

Ma se nella vita reale il tempo non si può piegare come vorremmo, quando si scrive diventiamo come Doctor Who, siamo tutti in grado di viaggiare nello spazio e nel tempo, senza sottostare alle leggi fisiche.

Perciò ho deciso di raccontare questa storia partendo quasi dalla fine, o meglio da un episodio che potrebbe sembrare la fine ma che per me è quel fattore che rende questa vicenda, già di per sé bellissima, tragicamente straordinaria. Per poi muoversi nel tempo e nello spazio, come avessi davvero un T.A.R.D.I.S. a mia disposizione.

Questa è una storia che riparte quando sembra finire, poi si ferma e riparte ancora. Una storia dove il vero vincitore è perdente, e viceversa. Una storia di resistenza involontaria, di sogni che si avverano molto dopo aver finito di sognarli. Una storia che nasce con un messaggio nella bottiglia lanciato nel web per cercare un mito, e finisce per inventare una storia tanto incredibile quanto vera.

Stazione della metropolitana Solna centrum di Stoccolma

13 maggio 2014, stazione della metropolitana Solna centrum di Stoccolma, una delle più belle del mondo, è un martedì qualsiasi e siamo all’ora di punta.

La folla di pendolari è sulla banchina in attesa. Il treno entra in stazione a velocità sostenuta, e proprio prima di iniziare la frenata un ragazzo esile si stacca dalle altre persone e salta sulle rotaie. Un istante, o poco più, e il treno lo travolge, uccidendolo sul colpo.

Quando viene identificato la notizia fa il giro del mondo, Malik Bendjelloul, il ragazzo svedese che si è appena suicidato, è abbastanza conosciuto perché poco più di un anno prima aveva vinto il premio Oscar per il suo primo film, un documentario sulla ricerca di un musicista perduto, “Searching for Sugarman”. Quel 13 maggio, Malik, che stava vivendo un periodo di depressione, ha deciso che poteva bastare così, che forse, a soli 36 anni, nella sua vita non c’era più nulla da cercare.

Detroit, 1970, Sixto Rodriguez, figlio di immigrati messicani (che lo battezzano così proprio perché è il loro sesto figlio), ha 28 anni e corona il suo sogno, quello di registrare il suo primo disco, lo intitola “Cold fact”, prendendo in prestito le parole dalla strofa di una sua canzone. Pubblica il LP con una piccola casa discografica che però non riesce a promuovere degnamente questo suo album d’esordio e neppure quello dopo, “Coming from reality”, uscito nel 1971.

I dischi vendono pochissime copie e mentre sta registrando il suo terzo album la casa discografica lo licenzia. 

Lui non batte ciglio, ha già una famiglia alla quale provvedere, mette i suoi sogni d’artista in soffitta perché, come dirà quarant’anni dopo “Nothing beats reality”. Inizia a lavorare come muratore, nel 1976 compera dalla municipalità di Detroit una casa fatiscente per soli 50 dollari, e la rimette a nuovo, poi si iscrive alla facoltà di filosofia di un’università minore (dove si laureerà nel 1981) e continua a fare tutti i lavori che gli capitano sotto mano.

A volte però c’è qualcuno che porta avanti i tuoi sogni senza che tu lo sappia. 

Per qualche strano motivo i dischi di Rodriguez, che negli USA erano stati velocemente ritirati dagli scaffali dei negozi di musica, un paio d’anni dopo stanno spopolando tra i giovani bianchi di “sinistra” in Sud Africa, dove le copie vendute sono oltre il mezzo milione. Senza che Sixto ne sappia qualcosa le sue canzoni sono diventate la colonna sonora delle manifestazioni anti apartheid. Non sa di essere così famoso anche perché lui, di tutti i soldi incassati dai suoi dischi, non ha visto nemmeno un centesimo.

Sixto Rodriguez

In termini di popolarità una cosa simile gli capita anche in Australia, ma questa volta qualcuno lo avvisa e addirittura organizza una tournée. Nel 1978 Rodriguez parte da Detroit con le sue due figlie teenager e finisce col suonare, incredulo, davanti a 15.000 fan in delirio a Sidney. Finito il tour torna negli USA dove continua a fare il muratore. Nel 1981 vola di nuovo in Australia, sempre per un breve tour, e anche sta volta quando ritorna a casa mette la chitarra in soffitta e riprende la carriola.

Svezia, 2007, Malik Bendjelloul, figlio di un fisico algerino e di una traduttrice svedese, ha da poco compiuto trent’anni. Da ragazzo aveva fatto una piccola parte in una serie televisiva, ma aveva smesso presto di fare l’attore. Adesso lavora come reporter per il programma culturale Kobra della SVT, la televisione pubblica svedese. Decide di licenziarsi perché vuole vedere il mondo, ed è proprio nel suo “gap year” che scopre in Africa una storia così bizzarra da non sembrare nemmeno vera.

Nel 2008 decide di girare un documentario su questa storia, sulla leggenda di Sixto Rodriguez e su come un gruppo di suoi fan sudafricani l’aveva salvato dall’oblio.

Abbiate pazienza, ma dobbiamo fare un altro salto, questa volta nel passato, e spostarci a metà degli anni ’90 in Sud Africa, quando tale Stephen ‘Sugar’ Segerman, proprietario di un negozio di dischi a Città del Capo si mette sulle tracce del suo idolo, un cantautore americano che di nome faceva Jesus Rodriguez.

Internet è agli inizi, ma Segerman e i suoi amici pensano, giustamente, che sia il modo più semplice per scoprire che fine abbia fatto quel musicista, sparito nel nulla un paio di decenni prima, dopo aver venduto in Sud Africa più dischi di quanto avesse fatto Bob Dylan. Quello che è abbastanza certo è che Rodriguez si sia suicidato, forse con un colpo di pistola, altri dicono si sia dato fuoco durante un concerto. Ma forse si tratta di una leggenda metropolitana.

Grazie ai testi di alcune canzoni hanno capito che Rodriguez doveva essere dell’area di Detroit, ed è quello che scrivono nella pagina web “the Great Rodriguez Hunt” che chiede a chiunque l’avesse visto (magari assieme ad Elvis nei sobborghi di Johannesburg) di contattarli.

La pagina della caccia al grande Rodriguez

Un paio di anno dopo, nel 1997 Regan, una ragazza da Detroit scopre quella pagina, scrive un’email che più o meno dice: “Conosco quello che voi chiamate Jesus Rodriguez, in realtà si chiama Sixto, è mio padre e abita ancora a Detroit”.

Stephen ‘Sugar’ Segerman non può credere a quello che legge, è come se davvero avesse incontrato Elvis alla Coop (ok, magari la Coop non ha ancora una sede in Sud Africa).

Pochi giorni dopo, nel pieno della notte di Cape Town, Rodriguez lo chiama al telefono, esordendo con un: “Salve, sono Sixto Rodriguez, mia figlia dice che mi state cercando”.

Dopo qualche mese Rodriguez si prende un paio di settimane di ferie e, accompagnato dalla figlia, vola in Sud Africa. Non ha ancora capito che sta per essere accolto come una semidivinità, passa oltre la limousine che aspetta fuori dell’aeroporto prima di realizzare che quella vettura di lusso è li per lui. Oltre ai bagagli ha con sé una chitarra e sa che dovrà esibirsi in una mini tournée, è un po’ arrugginito ma Stephen ‘Sugar’ Segerman gli ha organizzato un gruppo fatto di musicisti suoi fan che si sono formati sulle sue canzoni. I concerti sono un successo dopo l’altro, Rodriguez è un po’ a disagio, parla poco, ogni tanto sussurra al pubblico in estasi: “Grazie per avermi tenuto in vita”.

Finito il tour torna a Detroit dove riprende a fare il muratore, anche se per poco, perché, almeno in Sud Africa, riesce a suonare ogni anno e guadagnare quei pochi di soldi che gli servono per vivere.

Malik Bendjelloul e Sixto Rodriguez

Gennaio 2012, sono passati quasi 4 anni dall’inizio della lavorazione del documentario scritto, diretto e montato da Malik Bendjelloul. Gli ultimi mesi sono stati molto duri per il giovane svedese, i soldi sono finiti da tempo e le ultime parti sono state girate con un iPhone 5 ed editate con un App per simulare l’effetto della pellicola Super 8, che era stata usata per tutte le altre riprese.

Non è stato facile raccogliere tutto il materiale, ma alla fine il documentario è pronto, la parte più difficile è stata intervistare un recalcitrante Rodriguez, che ha accettato di parlare col regista svedese solamente dopo la sua terza visita a Detroit, probabilmente impietosito dalle difficoltà che stava incontrando quel ragazzo.

Il film esordisce al Sundance Film Festival, e vince il premio speciale della giuria e quello del pubblico. 

Detroit, 24 febbraio 2013, Sixto Rodriguez è appena tornato dal suo ultimo tour in Sud Africa, nonostante le pressanti richieste da parte di Malik Bendjelloul, decide di non andare alla cerimonia degli Oscar a Los Angeles, dove il film è in lizza per il premio di “Miglior Documentario dell’anno”, è troppo stanco per prendere un altro aereo e, sopratutto, non vuole rubare la scena al regista, nel caso improbabile di una vittoria.

La scena che riprende Rodriguez procedere a fatica sui marciapiedi innevati di Detroit sono la quintessenza della sua straordinaria (in quanto così ordinaria) vita.

“Searching for Sugarman” incredibilmente vince l’Oscar, Rodriguez lo scopre dalla figlia che lo sveglia con una telefonata, comunque non avendo la TV e neppure un computer ed internet non avrebbe potuto saperlo in diretta.

Sixto Rodriguez, l’uomo che aveva deciso di arrendersi alla realtà, che semplicemente aveva vissuto senza mai fermarsi, vivendo del proprio lavoro, rinunciando senza drammi all’idea di essere un artista di successo, rinasce come rockstar per l’ennesima volta a 72 anni.

Questa volta però non è famoso solamene in Sud Africa, tutti conoscono la sua storia grazie al documentario che ha vinto l’Oscar, tutti vogliono un pezzo della sua magia, e d’ora in avanti i suoi concerti gireranno il mondo.

Siamo tornati al 13 maggio 2014, a Detroit questa volta, dove la storia di Sugarman era iniziata e dove idealmente si chiude. Rodriguez deve suonare al Masonic Temple Auditorium, quando manca circa un’ora all’inizio del concerto, la figlia gli dice che Malik non c’è più.

Sixto lo celebra nel migliore dei modi, suonando per 80 minuti tutto il suo repertorio senza mai fermarsi, poi nei camerini rilascia un intervista esprimendo tutto il suo dolore.

Quando leggo la notizia che parla del suicidio di Malik Bendjelloul, penso subito a quel vecchio muratore, che aveva rinunciato ai suoi sogni di artista e comunque aveva vissuto una vita piena e felice, per scoprire di essere una rockstar a 72 anni suonati. Poi penso a quel ragazzo magro e fragile, con occhi grandi e scuri, che a soli 35 anni, al suo primo film, aveva vinto un Oscar, e ciò nonostante si era fatto spezzare l’anima dalla depressione, lui che il sogno lo stava vivendo, questa vita non l’amava più. Tutto quel tempo passato con Rodriguez non lo aveva convinto che non si deve scappare dal proprio presente, che non si devono prendere scorciatoie.

Non so se davvero “nothing beats reality”, ma ho l’impressione che certi mostri siano invincibili per chi ha il cuore speciale, come quello che aveva Malik Bendjelloul.

E adesso, anche se vi ho fatto qualche spoiler di troppo, cercate di recuperare “Searching for Sugarman”, e se non verserete nemmeno una lacrima vuol dire che avete un cuore inutile.

5 commenti Aggiungi il tuo

  1. Vincenzo ha detto:

    bentornato Riccardo!
    e hai scelto una storia fantastica per farlo. Conosco il film, l’ho visto qualche anno fa e mi aveva colpito tantissimo, così come la storia successiva del regista, che nel documentario ovviamente non è raccontata. Non posso che unirmi al consiglio di vedere questo film perché è uno di quelli che possono cambiarti la giornata, la settimana, e magari, chissà, anche la vita, nel suo piccolo…

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Grazie Vincenzo, avevo intuito che tu avessi un cuore “utile” 😉

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  2. n. z. ha detto:

    Come sempre, bellissimo! Ci mancavano i tuoi post!
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  3. Luigi Catillo ha detto:

    Ben tornato! Una storia toccante. Grazie per la condivisione. 🙂

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Grazie a te Luigi!

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