Carlo Airoldi, l’importante è partecipare.

Canzoni consigliate per la lettura “Curre, curre quagliò” dei 99 Possee e “Born to run” di Bruce Springsteen.

Smettere di sognare non vuol dire non credere più nei sogni

Carlo Airoldi

Quasi sempre, alla fine delle varie conferenze che tengo in giro per il mondo, si avvicina una ragazza dagli occhi di cerbiatto, con dei fiori tatuati su di una spalla. Sorride dai suoi zigomi sexy e mi chiede di che cosa parla il mio blog, io tentenno, le parole quasi inciampano sulla mia lingua mentre mi perdo nei suoi occhi.

Poi mi sveglio, sono le tre di notte, sto sudando e il letto mi sembra un isola deserta fin troppo grande per una persona sola. Faccio fatica a riaddormentarmi, ma quella domanda (e quella ragazza, che ormai è una presenza costante, almeno nei sogni) me la ritrovo nella testa i mattino dopo: “di che cosa parla il mio blog?”

La versione ufficiale dice qualcosa a che fare con la memoria, nelle info del blog si può leggere questa descrizione:

“Il Poltronauta” è un blog dove la memoria individuale diventa collettiva, e vice versa. Dove il tempo non si percorre solamente in avanti, ma in tutte le direzioni, dove si viaggia verso mondi sconosciuti restando seduti in poltrona. Il Poltronauta in realtà è un omone di mezza età che si è perso, e ha iniziato a mettere in ordine i suoi ricordi per trovare la retta via, ammesso che esista.

In realtà, negli anni, ho capito che questo blog parla principalmente di “eroi”, persone che hanno avuto un momento di gloria, cercato o meno. Piccoli uomini che non si sono fermati davanti alle avversità ma che hanno combattuto, vinto e alla fine perso. Come quel ragazzino che si allenò per un anno intero senza mai giocare una partita, per poi essere premiato come sportivo dell’anno, e continuare ad essere un calciatore scarsissimo. Oppure quel gigante che passò dalla serie A di basket alla serie A di rugby e che quando stava per ritornare ad essere un giocatore di basket professionista rimase vittima di un incidente stradale.

E da oggi c’è Carlo Airoldi, un signore nato nel 1869, sconosciuto quasi a tutti, che fece una delle cose più incredibili che un uomo possa fare, e lo fece per amore. Ovviamente, se Carlo Airoldi è finito in questo blog le cose non gli devono essere andate benissimo.

Carlo Airoldi
Carlo Airoldi e i suoi bicipiti

Questa è una storia fatta di follia, di amore, di incoscienza e di freddo calcolo politico e, sopratutto, è una storia così incredibile che non sembra nemmeno vera.

Carlo Airoldi è nato ad Origgio, in provincia di Varese, primo e unico figlio di una coppia di contadini. Nel pieno della maturità fisica, Carlo è quasi più largo che alto: misura appena 160 centimetri, ma il petto ha una conferenza di 120 mentre i bicipiti misurano ben 50. Ha una forza straordinaria, però, mentre lo si potrebbe immaginare tranquillamente come “uomo forzuto” del circo, lui ha una passione che mal si abbina con il suo fisico. Come disse Igor’ Ivanovič Sikorskij (pioniere dell’aviazione russo) in merito al calabrone che “.. non può volare a causa della forma e del peso del proprio corpo, in rapporto alla superficie alare. Ma il calabrone non lo sa e perciò continua a volare”, anche Carlo non ha affatto il fisico da corridore, ma lui non lo sa e perciò continua correre.

E non le corse che fate voi al parco con scarpe hi-tech giusto per tenere sotto controllo i numerosi spritz bevuti, Carlo Airoldi corre con delle polacchine consumate e corre su percorsi campestri che a fine ‘800 tanto agevoli non dovevano essere. Carlo corre chilometri in qualsiasi condizione metereologica, e vince quasi sempre. Adora le gare su lunga distanza, e per lunga distanza intendo la “Lecco-Milano, oppure la “Milano-Torino”.

Nel frattempo lavora in una fabbrica di cioccolatini a Milano, la “Rossi”, di tale Augusto Maverna. Un giorno, mentre sta andando in direzione per chiedere al titolare di potersi assentare per gareggiare, letteralmente inciampa su di una bella ragazza, Adele, che sta uscendo dall’ufficio: è amore al primo sguardo. Ma Augusto Maverna, che assiste alla scena e che della ragazza è il padre gli dice: “lascia stare ragazzo, non fa per te, mia figlia ha un altro destino, tu sei solamente un operaio”.

Abbiamo capito però che Airoldi è un tipo testardo, e decide che deve diventare una persona così importante che potrà chiedere la mano di Adele. Individua nella corsa la sua “via alla gloria”, così poco dopo, a 26 anni, decide di partecipare ad una corsa a tappe, una di quelle gare estreme che andavano di moda a quei tempi: la Torino-Nizza-Barcellona, da percorrere entro 16 giorni. L’organizzazione prevede però che il gruppo debba stare unito fino all’ultima tappa, quella da Figueras a Barcellona. La mattina dell’8 settembre, alle 8, in piazza San Carlo a Torino c’è un bel gruppo di persone che assiste alla partenza di quegli 11 pazzi che correranno per 1.020 chilometri. Per parteciparvi Airoldi è stato costretto ad assentarsi dal lavoro (ovviamente non pagato) mentre per pagarsi l’iscrizione ha passato le settimane precedenti a sfidare a braccio di ferro gli avventori delle osterie di Milano, sempre a fine turno e chiaramente vincendo ogni singola sfida. Appena partito Airoldi capisce che l’uomo da battere è un francese che si chiama Louis Ortègue, i due si guardano in malo modo durate tutta la gara, ma non scambiano mai una parola, non avendo una lingua in comune. Alla vigilia dell’ultima tappa, quella del “mea libera tutti”, Airoldi ha i piedi massacrati dalle piaghe, quasi non si regge in piedi, la sera si sdraia sul lettino della tenda messa a disposizione dell’organizzazione e pensa seriamente di ritirarsi. L’ora di cena è passata da un po’ quando nella tenda di Carlo entra il corridore francese, si avvicina lentamente e allo sguardo tra lo spaventato e il sorpreso di Airoldi indica i piedi, poi si china e da un tascapane tira fuori una vasetto e delle garze pulite. Gli toglie le scarpe e le calze, inizia a spalmare un inguento che pesca a piene mani dal vasetto e massaggia i piedi di un incredulo Airoldi, poi li fascia con le garze e senza proferire parola esce dalla tenda.

L’indomani alla partenza dell’ultima tappa si presentano 6 atleti, e tra questi ci sono Ortègue e Airoldi, che incredibilmente non sente più alcun dolore ai piedi. Questa è l’ultima tappa, dove non c’è l’obbligo di correre compatti, e infatti dopo pochi chilometri i due vanno in fuga. Ogni volta che Airoldi scatta in avanti Ortègue lo riprende subito dopo , e viceversa. Mancano poche centinaia di metri all’arrivo, segnato dal monumento di Cristoforo Colombo che si trova alla fine delle Ramblas davanti al porto di Barcellona. I piedi di Carlo iniziano a far male ma ormai ha la gara in pugno, fa un ultimo scatto e si gira per controllare la reazione del francese ma vede che Ortègue è crollato a terra, in preda ai crampi. Allora si ferma anche lui, gli urla di alzarsi, che la gara la vuole vincere per merito, non perché il suo avversario si è arreso. Guarda la folla che lo aspetta all’arrivo, poi riguarda l’atleta francese, e compie una di quelle cose che solo un pazzo potrebbe fare. Cammina verso Ortègue, se lo carica sulle spalle e corre con lui verso la fine della gara, tagliando il traguardo assieme.

La folla è ammutolita, non capisce, ma dopo qualche secondo un giudice di gare indica Airoldi come vincitore e partono le urla e gli applausi, alcuni tifosi si alzano l’italiano sulle spalle e lo portano in trionfo. La città di Barcellona è così colpito dall’impresa di Airoldi che le autorità lo premiano con 500 Pesetas, che poi lui dividerà equamente con Ortègue. Con i suoi 250 si pagherà il viaggio di ritorno a Milano.

Mentre torna a Milano, Carlo ha un solo pensiero, Adele. Ma sa che fino a quando resterà un “semplice operaio” non potrà mai chiederla in sposa.

Quando un pazzo testardo si innamora c’è il rischio che la sua mente partorisca idee improbabili. Carlo, che è esattamente un pazzo innamorato, legge su di un giornale di un giovane nobile francese, tale Pierre De Coubertin, testardo e pazzo pure lui, che ha deciso, spendendo anche molto del suo patrimonio, di resuscitare le Olimpiadi.

Le prime Olimpiadi moderne si terranno ad Atene ad aprile dell’anno successivo, e Airoldi decide che vincere una medaglia nella gara più iconica delle Olimpiadi, la maratona, lo renderà degno di sposare Adele. Inizia a parlarne in giro cercando i fondi necessari per arrivare fino in Grecia, ma l’Italia non ha intenzione di parteciparvi, ovviamente il CIO (Comitato Italiano Olimpico, ndr) nemmeno esiste, e il mondo politico è tutto rivolto all’Etiopia, dove tra l’altro a Marzo del 1896 l’Italia subirà una sconfitta storica, primo e unico esercito europeo a prendere mazzate da uno africano.

Illustrazione della battaglia di Adua contenuta nel vinile “Confrontation” di Bob Marley

Ricordatevi però che Carlo è un omino testardo e pure innamorato, vuole essere il primo italiano a partecipare alle prime Olimpiadi moderne e davanti alla mancanza di fondi ha un’idea folle: decide di andare ad Atene correndo.

Comunque, anche se a piedi, il viaggio ha un costo che lui non può permettersi, e dopo aver chiesto inutilmente al Corriere della Sera una mini sponsorizzazione in cambio della cronaca del suo viaggio, trova un aiuto in una piccola rivista sportiva, “La Bicicletta”.

Come direbbe Faber “Ma una notizia un po’ originale/ Non ha bisogno di alcun giornale”, così alla partenza da Milano Carlo trova una folla di curiosi, intere famiglie con bambini che vogliono vedere da vicino quel ragazzo che ha deciso di correre da solo fino ad Atene per partecipare alle Olimpiadi.

Per arrivare in tempo Airoldi dovrà correre una media di 70 km al giorno, non proprio una passeggiata, e infatti, a causa di piogge e strade ghiacciate accumula subito ritardi fin dai primi giorni. Quando arriva a Trieste, all’epoca terra straniera, riceve ospitalità da un amico personale del direttore de “La Bicicletta”, il quale, dopo averlo rifocillato, gli regala un coltello, ricordandogli che sta per attraversare terre selvagge e sconosciute, come la Dalmazia e soprattutto l’Albania, che agli occhi di un italiano di fine ‘800 era esotica e misteriosa quanto la provincia Panjshir dell’Afganistan.

Il viaggio di Airoldi diventa una vera e propria odissea (giusto per rimanere in tema di Grecia), spesso corre attraverso strade fangose e vuote, quasi sempre viene ospitato da increduli contadini nei loro fienili. Una notte, poco prima di arrivare a Ragusa (dove deve incontrare il console italiano) mentre al tepore di un piccolo falò dorme in un bosco, viene assalito da un branco di lupi. Si salva uccidendo il capo branco con il coltello che si portava da Trieste, ma si ferisce alla mano.

L’itinerari di Carlo Airoldi

Quando arriva a Ragusa è a pezzi: ferito, stanco, affamato, febbricitante e senza forze. Il console lo accoglie e Carlo si concede un vero letto dopo settimane, e si mette a dormire, per tre giorni.

Quando si sveglia sta meglio ma ormai il suo sogno di raggiungere a piedi Atene sembra tramontato per sempre, visto il ritardo che si è accumulato. Lui però non si arrende, decide di attraversare l’Albania aumentando la media chilometri al giorno. Il console fatica un bel po’ ma alla fine, pagando di tasca sua il biglietto, lo convince ad imbarcarsi nel piroscafo che da Ragusa lo porterà in meno di un giorno a Patrasso.

Nel frattempo la storia dell’italiano che sta raggiungendo a piedi Atene per partecipare alla maratona è arrivata anche ai giornali greci, accendendo la fantasia di tutti i lettori. Persino quella del principe Costantino, presidente del Comitato Olimpico, il quale addirittura organizza un ricevimento d’onore per il giovane milanese.

Ma facciamo un passo indietro. Per organizzare le prime Olimpiadi moderne de Coubertin aveva coinvolto non solamente il re di Grecia, ma anche uno degli uomini più ricchi di quegli anni, tale Georgios Averof, che donò circa 920.000 dracme (un’enormità per il 1895) per il restauro dello Stadio Panathinaiko, la sede storica delle olimpiadi antiche che era stato riportato alla luce dopo gli scavi del 1870. Ad un certo punto de Coubertin, capendo la portata politica delle Olimpiadi, lasciò i comando al comitato greco, che ovviamente aveva puntato tutto sulla gara simbolo, la maratona, che “sperava” potesse essere vinta da un greco.

Stadio Olimpiade Atene 1896
Lo Stadio Panathinaiko il giorno della Maratona.

Il buon Carlo non sa nulla di questi intrighi politici, lui è ad Atene per correre e possibilmente vincere una medaglia e diventare abbastanza importante per poter chiedere la mano di Adele. Quando scopre di essere l’ospite d’onore del ricevimento organizzato dal principe Costantino tocca il cielo con un dito. Entrando nel salone del rinfresco sente un’atmosfera strana, qualcosa non torna, anche se i membri del comitato lo accolgono con cortesia, quasi ammirazione. Gli chiedono da dove viene, come è stato il viaggio e gli fanno domande sulle gare che ha vinto.

Carlo è un fiume in piena, risponde a tutti, parla della sua vittoria più bella, la gara Torino-Nizza-Barcellona, quando un signore gli chiede se per quel successo ha ricevuto un premio, lui gli racconta delle 500 Pesetas (“fatte a metà col secondo” sottolinea). A quel punto i membri del comitato scuotono la testa, è la conferma che aspettavano, gli dicono che per partecipare alle Olimpiadi si deve essere dilettanti e che lui, avendo vinto un premio in denaro, non potrà iscriversi.

Airoldi non capisce, crede si tratti di uno scherzo, ma in quella stanza nessuno ha voglia di scherzare. La sua tenacia, la sua forza e la sua resistenza fisica che lo avevano portato ad Atene dall’Italia letteralmente di corsa, fanno di lui un avversario temibile, anzi, troppo forte. Quel piccolo italiano, che rischia di vincere la gara più importante delle Olimpiadi, rappresenta un pericolo per i membri del comitato greco che vogliono proteggere il loro immane investimento.

Carlo Airoldi non si arrende, chiede, anzi implora all’organizzazione di farlo correre, perché lui per vivere lavora in una fabbrica di cioccolatini, mica corre per professione. Dice che è disposto a gareggiare senza essere iscritto, che comunque anche se dovesse vincere non vorrà nessuna medaglia. Ma quei signori, che avevano organizzato un circo in nome de “l’importante è partecipare”, gli voltano le spalle, e Carlo è costretto a guardare l’arrivo della maratona confuso tra le migliaia di spettatori nello Stadio Panathinaiko.

A vincere sarà, ça va sans dire, un pastore greco, Spiridon Louis, con un tempo di poco inferiore alle 3 ore. Airoldi subito dopo sfidò a più riprese il corridore greco, convinto di poterlo battere (in effetti l’anno successivo corse la stessa distanza in 2 ore e 44 minuti), sfide che caddero sempre nel vuoto.

Tornato a Milano il ragazzo riuscì a sposare comunque Adele, ottenendo la sua vittoria più importante. Ebbe sei figli e continuò a seguire lo sport (sia corsa che bicicletta), andò prima in Svizzera e poi in Sud America, cercando di migliorare la sua vita. Non so se ci riuscì, ma si sa che l’importante è partecipare, no?

Questo fu l’ultimo messaggio scritto a La Bicicletta:

«Fino questa mattina ebbi sempre speranza di correre, ma pur troppo non mi venne nessun avviso e dovetti assistere alla gara di Maratona, per la quale è un mese che mi affaticavo nelle certezza di prendervi parte. Fino all’arrivo mi mantenni tranquillo e calmo, ma quando arrivò il primo e si sentì il colpo di cannone, allorché la bandiera greca s’innalzò, non mi sentii più padrone di me. […] Vedere arrivare il primo in mezzo a tanta festa ed io non poter correre per delle ragioni assurde fu il più grande dolore della mia vita. L’unica ragione, a quanto parve a molti, è che era desiderio di tutti che il primo fosse un greco e per questo basandosi sul regolamento venni escluso, perché io presi del denaro a Barcellona. Dunque non potevo darmi pace. Il premio d’altra parte era rispettabile: una coppa, una corona e 25.000 lire. Per un giovane che nulla possiede come me, all’infuori del coraggio e che ha quasi la certezza di arrivare primo è un bel dispiacere. Al Comitato feci valere le mie ragioni, dicendo che in Italia lo sport pedestre non è sviluppato abbastanza per poterlo fare di mestiere, e che il denaro che presi a Barcellona fu una regalia del Municipio, come si è fatto per il vincitore della Maratona, ma tutto fu inutile. […] Dopo tutto mi consolo perché a piedi vidi l’Austria, l’Ungheria, la Croazia, l’Erzegovina, la Dalmazia e la Grecia, la bella Grecia che lasciò in me un ricordo indelebile. Mi consolo pensando agli allori riportati in Francia e Spagna, ma se per quel viaggio partii in giovedì per questo partii in venerdì e in Venere ed in Marte né si sposa né si parte. Ora però tutto è finito e fra poco sarò a Milano.»

6 commenti Aggiungi il tuo

  1. consules ha detto:

    Di cosa parla il tuo blog? Chissenefrega, è pieno di storie e le divoro e le rileggo e le adoro tutte. Non ti conosco, ma ti voglio bene. Buon Natale Poltronauta e grazie

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Così mi commuovi! 😊 ti voglio bene anche io. Buon Natale e grazie di nuovo.

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  2. Luigi Catillo ha detto:

    Una storia avvincente, incredibile e molto poetica. Grazie per questa condivisione! 🙂

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Grazie Luigi! La storia è veramente bizzarra, da farci una serie tv (ovviamente con Beppe Fiorello 😉)

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      1. Luigi Catillo ha detto:

        Chissà, magari in futuro vedremo Beppe in questo ruolo! Ti auguro sia una buona serata sia delle serene festività natalizie. 🙂

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      2. Il Poltronauta ha detto:

        Anche a te!

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