My name is Fabio

I’m too sexy for my shirt
Too sexy for my shirt
So sexy it hurts
And I’m too sexy for Milan
Too sexy for Milan
New York, and Japan
I’m too sexy for your party
Too sexy for your party
No way I’m disco dancing

I’m too sexy – Right Said Fred

Fabio in uno spot girato a Venezia

A Venezia centro storico (escluse le isole dunque) ci sono circa 11.000 numeri civici, cioè 11.000 numeri di porte che danno accesso ad un edificio.

La numerazione delle case è stata introdotta a Venezia dagli Austriaci nel 1841 e segue una logica tutta veneziana perché, a parte la zona di Sant’Elena e l’isola della Giudecca, le case hanno una numerazione indipendente dalla strada in cui si trovano. Per spiegare il concetto in modo semplice, Venezia è divisa in sei quartieri (che proprio perché sono sei si chiamano “sestieri”) e le case di ogni sestiere hanno una numerazione progressiva che parte ovviamente dal numero 1. Nel caso dei sestieri più grandi, come quello di Castello e Cannaregio, gli ultimi numeri sono rispettivamente il 6827 e il 6294. Mentre nel più piccolo, Santa Croce, la numerazione si ferma al 2344. In seguito alle successive modifiche urbane a volte alcuni numeri spariscono per comparire a distanza di centinaia di metri (oppure mai), altre volte, per non incasinare la progressione, lo stesso numero viene affiancato da lettere in ordine alfabetico.

I sestieri di Venezia (versione extralarge)

La logica dei numeri civici di Venezia (però! Sarebbe un ottimo titolo per un libro su di un serial killer ambientato in laguna) non è la sola bizzarria di questa città.

Le strade, spesso dedicate a santi oppure a vecchi mestieri praticati in quella zona nei tempi passati, hanno nomi particolari.

Oltre a ponte (e canale), strada, via e piazza, a Venezia trovi “calle”, cioè via, sia nella versione normale, che in quella “larga” e in quella “longa”, “ruga”, sempre una via, probabilmente già con attività commerciali presenti nei tempi antichi, oppure “salizada”, ancora una via, che si differenza da una calle perché selciata, cioè “salizada”, prima di tutte le altre.

Poi c’è “campo”, cioè piazza, “campiello”, una piazza che non ci ha creduto, “corte”, un campiello ancora più piccolo quasi sempre senza via d’uscita, “fondamenta”, cioè una calle con uno dei lati lunghi affacciato su di un canale (esiste anche la versione plurale, fondamente, usata solamente per le “fondamente nove”, la lunga riva che si affaccia sul lato nord della laguna), con un po’ di fortuna puoi trovarti a passeggiare su qualche “riva”, praticamente una fondamenta sotto steroidi.

Un’altra strada caratteristica di Venezia è il “sotoportego”, una calle indoor che passa sotto un edificio. A causa dell’innalzamento della pavimentazione della città molto spesso i sotoporteghi sono a rischio trauma cranico per le persone sopra i 185 cm (esperienza vissuta).

Sotto la categoria di strada possiamo mettere il “ramo”, una calle senza via d’uscita, il “rio terà”, ovvero un rio interrato trasformato in calle che più raramente viene chiamato “piscina”, quando un canale perpendicolare a due canali interrati viene successivamente trasformato in rio terà.

Ci sono anche degli unicum, come la “piazzetta”, l’unica è quella dei leoncini adiacente alla basilica di San Marco, la “lista”, che a Venezia è la prima strada che si incontra usciti dalla stazione, un rio terà che però da sempre è chiamata Lista di Spagna. Tra le unicità c’è anche “seco marina”, scritto così, senza alcuna specifica, che sembra essere un “rio terà”, e le “zattere”, la meravigliosa sequenza di rive che si trova di fronte all’isola della Giudecca, ideale per le passeggiate primaverili, che pur avendo più zone di fatto è conosciuta con un nome unico, un po’ come alcuni giocatori di calcio brasiliani.

Molti dei “rio terà”, quasi sempre strade più larghe e ariose delle classiche calli, sono nati nell’800, quando prima i francesi e poi gli austriaci (e successivamente anche il regno italico) cercarono di normalizzare la città creando dei boulevard degni di ogni capitale europea.

Vista del Bacino di San Marco dalla” Riva dei 7 martiri”, alla fine di Via Garibaldi (scusa per mettere questa fotografia)

Figlia prediletta di quelle idee è Via Garibaldi (e il viale dei giardini perpendicolare), nata a seguito dell’interramento di un grosso canale e della distruzione di un paio di conventi. Per qualche strano motivo, quando un veneziano inizia una frase dicendo: “Quel bar si trova in fondo a…”, sai già che terminerà con “Via Garibaldi”, perché puoi abitare dietro ad un posto, vicino ad una chiesa, ma se abiti in “fondo a” sarà sempre in fondo a Via Garibaldi.

La strada più famosa per i veneziani è la “Strada Nova”, che si estende come una lunga lingua di trachite (la pietra dei masegni usati per la pavimentazione del 95% della città) nel cuore di Cannaregio, il sestiere dove si trova la stazione ferroviaria.

La “Strada Nova” scorre come un ampio fiume tranquillo (a parte un paio di strozzature) per oltre un chilometro. Il nome è collettivo, una specie di convenzione, in realtà ogni pezzo del percorso avrebbe un nome diverso che però quasi nessuno conosce, a parte un paio di “rio terà “ (San Leonardo, Maddalena), che in qualche modo hanno una loro dignità.

La “Strada Nova” è diventata l’ONU del cattivo gusto, dove gran parte degli (orrendi) esercizi commerciali sono accomunati da un unico obbiettivo: quello di racimolare più denaro possibile dal fiume in piena dei dannati del turismo pendolare. Negozi di paccottiglie, tenuti aperti18 ore su 24 da cittadini del Bangladesh e del Pakistan, ristoranti con buttadentro kossovari in uniforme (barba curata, capelli sfumarti sulle tempie, camicia bianca attillata, pantaloni neri stretti alla caviglia, mocassini di pelle indossati senza calzini), bar gestiti da cinesi che con i loro banconi popolati di cibo ex-congelato sono un girone dantesco dello street food. Ma non facciamone una questione di passaporti, con rare eccezioni la qualità si è inchinata davanti al profitto, nel giro di pochi anni sono sbucati decine di bar/osterie/baccari in “Strada Nova” e sulle due fondamente che costeggiano il canale di Cannaregio, ma soprattutto lungo la fondamenta della Misericordia (la versione veneziana dei navigli milanesi, almeno per quanto riguarda la densità di locali), nome generico che indica in realtà tre fondamente: quella della Misericordia, quella degli Ormesini e quella delle Capucine.

Lo scrittore Alvise Zorzi nel suo “Venezia scomparsa” ipotizzava che le modifiche urbanistiche che avevano portato alla nascita della “Strada Nova” derivavano dalla necessità di rendere più rapido gli spostamenti dell’esercito (austriaco) verso il centro della città, soprattutto in caso di insurrezioni.

La viabilità facilitata per chi arriva a Venezia con la macchina o con il treno ha reso questa zona ideale per le incursioni degli abitanti della campagna*, i forzati del bacaro tour che scendono in città per gli addii al celibato/nubilato, le feste di laurea o semplicemente per rompere i coglioni. (*a scanso di equivoci, la “campagna” per i pochi abitanti di Venezia è quel territorio che si estende verso ovest, oltre la laguna, e arriva più o meno a Parigi).

Una delle comunità straniere più impegnata nel campo della ristorazione è quella egiziana, ed è in un locale gestito da egiziani dove compare (finalmente) il soggetto principale di questo post.

Provenendo dalla stazione, poco prima della chiesa di San Felice (Saint Happy per gli amici anglofoni), si trova la versione veneziana del famoso Flatiron Building di New York, fatte ovviamente le debite proporzioni.

Il Flatiron Building di New York

Per anni il locale che si trova al piano terra ha ospitato una meravigliosa gelateria, il sogno proibito di ogni bambino, dove si potevano scegliere tra decine di “cocktail” di gelato diversi che garantivano picchi glicemici sconosciuti anche ad esperti diabetologi. Da molti anni la gelateria è diventata un ristorante-pizzeria, specializzato in menù turistici. L’attuale gestione egiziana permette di mangiare fritture, pizze capricciose e carbonare dalle 10.30 del mattino fino all’una di notte e grazie anche all’egregio lavoro dei buttadentro, che tallonano i turisti di passaggio con la stessa tenacia con la quale Claudio Gentile aveva affrontato Maradona e Zico ai Mondiali di Spagna 1982, i tavolini esterni sono spesso pieni.

Un pomeriggio della scorsa primavera, mentre mi godevo la “Strada Nova” ancora mezza vuota, ci sono passato a fianco. Nell’unico tavolino occupato c’era una famiglia di americani, in apparenza una coppia di genitori sessantenni con figlia e genero. Il cameriere egiziano si era appena avvicinato per prendere la comanda e i turisti americani, evidentemente felici di trovarsi in una Venezia ancora vuota, tentano l’approccio amichevole ancora prima di ordinare chiedono al tipo come si chiama, il tipo risponde con un: “My name is Fabio”, scatenando la gioia delle due donne che in coro esclamano. “Yes, Fabio!”.

Il Flatiron Building di Cannaregio, a piano terra (in questa fotografia chiuso) il ristorante per turisti.

Ashraf (o come diavolo si chiama per davvero) abbozza un sorriso ma non reagisce più di tanto, per un attimo mi viene la tentazione di fermarmi e spiegargli il motivo di così tanto entusiasmo per il suo “nome de plume”, ma poi penso che dovrei smettere di dare consigli non retribuiti.

Però ai miei lettori posso dirlo.

Fabio è stato per anni il nome italiano più famoso negli USA, tutto merito di un aitante tizio milanese (che di cognome fa Lanzoni) sbarcato a New York negli anni ’80 per seguire la carriera di modello.

L’esordio è eccellente, diventa il volto per una campagna di GAP (una catena di abbigliamento al tempo famosissima negli USA). Altissimo (oltre 190 cm), lunghi capelli biondi, mascella disegnata col righello, pettorali fuori scala e sorprendentemente depilati (per il tempo).

Negli anni Fabio tenta anche di fare l’attore e in effetti nel 1993 ha un ruolo di protagonista (se pur defilato) nelle due stagioni della serie TV “Acapulco H.E.A.T.”. Ma è un fuoco fatuo, Fabio a recitare è un cane e da quel momento la sua vita di attore si limita a comparsate, dove quasi sempre interpreta se stesso e in una serie di pubblicità di una margarina di nome “I Can’t Believe It’s Not Butter“ (per decenza non ho messo il video, abbiate il coraggio di cercarlo on line).

Resta però un uomo molto bello, diciamo di una bellezza un po’ tamarra, da tronista (senza tatuaggi), proprio grazie alla sua presenza fisica viene spesso invitato a talk-show mattutini, pensati per un pubblico di casalinghe, il target perfetto per “Fabio”.

Uomo dai mille “talenti” ad un certo punto diventa il modello per le copertine di alcuni romanzi rosa, di quel genere che in Italia vengono pubblicati dalla Harmony.

Due copertine di “romanzi rosa” con il nostro Fabio.

Eccolo dunque nei panni del bel “pellerossa”, oppure del pirata, con tanto di camicia sbottonata e chioma fluente.

Siccome non bisogna mai porre limiti ai propri sogni ad un certo punto Fabio pubblica un paio di romanzi di quel tipo, in apparenza scritti interamente da lui, ma onestamente questi sono dettagli minori, perché la sola idea che un editore possa aver messo il suo nome in copertina mi scalda il cuore.

Nel 2005, Fabio è Mr. Romance, il presentatore di un reality show televisivo creato da Gene Simmons (quello dei Kiss). Nello show una dozzina di concorrenti maschi vengono istruiti da Fabio nella sua “accademia del romanticismo”. Alla fine di ogni episodio Fabio impiegava qualche minuto per regalare perle di saggezza agli “spettatori a casa”. Lo show purtroppo ebbe una sola, iconica stagione.

Tra le tante attività “imprenditoriali” di Fabio non vanno dimenticate un libro e un video di allenamento chiamato Fabio Fitness (!?), Healthy Planet Vitamins, un’azienda che vende proteine del siero di latte, glutammina e prodotti a base di colostro e una linea di abbigliamento casual per le donne per la divisione Sam’s Club di Walmart.

Il giorno del suo 57esimo compleanno, sotto il governo Trump, Fabio Lanzoni corona il suo sogno di diventare cittadino americano, le sue prime parole sono le seguenti (le lascio in inglese per onorare il suo nuovo passaporto): 

“It was the second best day of my life. The first was the day I came into this country when I was 14 years old and I fell madly in love. I felt really at home right off the plane. It was my first love. So yesterday was like I married my first love.”

L’unico, inimitabile Fabio nel massimo del suo splendore.

Nonostante si sia rifiutato di partecipare ai classici reality per celebrities, tipo “Ballando sotto le stelle”, per motivi di amor proprio (così dice lui), Fabio spesso viene invitato in TV come opinionista. Celebre una sua partecipazione a “Fox news” dell’omonima rete conservatrice, in una puntata in cui si discuteva della facilità con la quale gli americani hanno accesso alle armi, richiesto un suo pensiero rilascia una dichiarazione che ci dà lo spessore del personaggio, anche in questo caso ve la riporto in originale:

Look what happened to Nazi Germany – they took away all the guns from people, and you see what happened….Don’t you ever give up your guns. If people lose that right, forget about it. Politicians — they will take everything away from you.” 

Come potete capire al cameriere egiziano del ristorante italiano per turisti avrei pure potuto raccontare la storia di Fabio, ma temo non avrebbe nemmeno apprezzato. So già però che molti dei numerosi lettori di questo blog da oggi sono dei fan di Fabio Lanzoni, se volete saperne di più vi rimando al sito ufficiale del suo fan club, una pagina meravigliosa che vi riporterà direttamente a fine anni ’90: www.fabioifc.com

Dunque, da oggi conoscete la mirabolante storia di un giovane ragazzo italiano che letteralmente ha trovato l’America. Molti di voi vorranno ringraziarmi, potete farlo portandomi ceste ricolme di doni, non siate timidi.

Per motivi di privacy non posso darvi il mio indirizzo, però un piccolo suggerimento ve lo lascio, per rendere il vostro compito più facile: abito “in fondo a …”.

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. Andrea C. ha detto:

    …via Garibaldi!

    "Mi piace"

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