L’Eternauta

Tu lucha, lo mismo. Que la lucha de tus compañeros y de todos los hombres que combatieron. contra la invasiòn no ha sido en vano, aunque asì te lo parezca.

Héctor Oesterheld, l’Eternauta

 

Eternauta
Juan “Khruner” Salvo aka Juan “Khruner” Galvez

I barbieri mi appassionano quanto ad un vegetariano può appassionare un macellaio, ciò nonostante mi sono reso conto del lento declino di questa gloriosa attività nella città di Venezia.

Visto gli esorbitanti costi degli affitti, i negozi dei barbieri, da sempre molto piccoli, sono scomparsi dalle zone più turistiche della città, ora  si affacciano quasi esclusivamente su strade secondarie se non addirittura nascoste. A riprova che la tanto temuta “gentrificazione” non è mai arrivata da queste parti c’è l’assoluta mancanza dei “barber shop” di nuova generazione, quelli gestiti da trentenni barbuti, perennemente in camicia con le maniche arrotolate (a mostrare tatuaggi colorati sugli avambracci) e bretelle a sostenere jeans consumati da qualche operaio-schiavo nelle fabbriche-lager del sud est asiatico.

I pochi barbieri sopravvissuti sono tutti over 50, con facce sbarbate di fresco, occupano negozi microscopici, con vetrine rassegnate alla polvere e riempite di oggetti inutili. Io ci sto alla larga, appunto come un vegetariano sta lontano dalle macellerie,  perché, come disse Michael Stipe dei R.E.M. (oppure era Michael Jordan?) quando decise di radersi il cranio per sempre, “Ho abbandonato i miei capelli prima che loro abbandonassero me.”

Il problema è che vicino al mio vecchio ufficio, affacciato su di una calle stretta ed impossibile da aggirare, c’è questo barbiere, vetrina impolverata d’ordinanza che fa intravedere, sulla sua unica mensola, un phon in alluminio (!?), un paio di forbici che farebbero fatica a tagliare del burro e, inspiegabilmente, una coppa (non ho idea a cosa si riferisca, non mi sono mai soffermato così a lungo da poter leggerne l’etichetta). Ogni volta che ci passo a fianco inizio a camminare più veloce e mi guardo le scarpe, come un chitarrista di una band “shoegaze”

Ogni tanto però, per colpa della scarsa lucidità, qualche mattina mi è capitato di incrociare lo sguardo con quello dell’anziano barbiere, che puntualmente mi ha guardato con un misto di disprezzo e disperazione, ricambiato da un mio mezzo sorriso, quasi di scusa, quasi a dirgli che mica lo faccio apposta a non avere i capelli.

Ovviamente non è sempre stato così, anche se parliamo di molto tempo fa. Quelle visite dal barbiere un po’ mi mancano, non tanto per nostalgia dei capelli, ma per il fatto che mi piaceva avere un tizio che mi faceva uno shampoo, che armeggiava con le sue forbici sopra la mia testa senza mozzarmi le orecchie. Non solo, mi piacevano anche le chiacchiere da barbiere mentre aspettavo il tuo turno, circondato da adulti che sfogliavano la Gazzetta o qualche copia di Playboy, la radio rigorosamente mono, sempre sintonizzata su Radio RAI 1, all’epoca con un palinsesto fatto di radiogiornali e trasmissioni di gente che parla, su tutte “Radio anch’io” di Gianni Bisach, e quell’odore misto borotalco e shampoo economico che ormai non si sente più.

Il mio barbiere era a Murano, “imposto” da mi padre, che così in qualche modo mi teneva legato alla sua isola d’origine. Il negozio si trovava ai piedi di un ponte, con una vista sulla magnifica abside della chiesa di San Donato del XI secolo, forse l’unica chiesa al mondo (anzi, duomo) il cui retro è di gran lunga più bello della facciata.

Microscopico, forse 4 metri per 4, aveva due pareti specchiate (quella di fronte all’entrata e quella sulla destra) con due postazioni in totale (una sedia normale ed una a forma di cavalluccio, fatta apposta per i bambini), mentre nelle rimanenti due pareti (entrambe con vetrine oscurate) si trovavano le sedie per i clienti in attesa.

Murano, abside di San Donato
Abside del duomo di San Donato

La parete dove si trovava la postazione principale nascondeva una specie di doppio fondo, nel quale ogni tanto il barbiere spariva, per uscire con spazzole, boccette di dopobarba a base di alcool puro, gadget vari per adulti (tipo calendari a forma di santini con donnine procaci e svestite al posto del santo di turno).  Avrei sempre voluto entrare il quella specie di stanza segreta, chissà, forse era come il fondo dell’armadio delle “Cronaca di Narnia”.  

Nelle lunghe attese del proprio turno, oltre a poter ascoltare le chiacchiere degli adulti e la tristissima Radio RAI 1, come detto si poteva leggere la Gazzetta oppure, nel mio caso, sbirciare le copie di Playboy lette dal vicino, ma soprattutto andare dal barbiere per me era l’occasione per poter leggere con calma i fumetti di Skorpio e del Lanciostory, due settimanali di fumetti stampati su carta economica, che oltre ad avere delle terze di copertina straordinarie (con occhiali a raggi x, scimmie di mare ed altri gadget acquistabili per corrispondenza), pubblicavano fumetti da tutto il mondo (ad eccezione dei supereroi americani), con un occhio particolare alle produzioni sudamericane.

Ed è in una di queste lunghe attese che ho fatto il mio incontro con lui, Juan “Khruner” Galvez (che nella versione argentina si chiamava Juan Salvo), ovvero l’Eternauta.

La versione che stavo leggendo era quella creata in Argentina a fine anni 50 da German Oesterheld e disegnata da Francisco Solano Lopez, quell’opera, già monumentale, era stata integrata da una seconda parte sempre per mano dei due a quasi vent’anni di distanza, anche questa pubblicata sul Lanciostory. In mezzo, ma lo scoprii molto dopo, c’era stata una rivisitazione della prima parte, ancora più cupa e politica, disegnata da quel genio di Alberto Breccia, versione difficilissima da recuperare.

L'Eternauta disegnato da Alberto Breccia
L’Eternauta disegnato da Alberto Breccia

Il fumetto è in bianco e nero, molto più nero che bianco e, pur rischiando la scomunica da parte di quelli che “ne sanno”, confesso che i disegni del buon Solano Lopez sono piuttosto brutti. Corpi disegnati in modo confuso, i lineamenti dei personaggi poco stabili (al punto che per semplificare il tutto e per non confondere il lettore, ogni personaggio ha un marchio distintivo, chi gli occhiali, chi una maglia particolare), ma la storia è così intensa che questi particolari vanno in secondo ordine.

La prima tavola è già meta-teatrale, autobiografica per così dire, con l’Eternauta che si materializza a casa di uno sceneggiatore di fumetti della periferia di Buenos Aires, al quale racconta la sua incredibile vita.

Il tutto parte da una nevicata avvenuta a Buenos Aires da qualche parte nel tempo  (un evento piuttosto raro a Buenos Aires, capitato nella realtà una sola volta nel 1918 ed un’altra il 9 Luglio del 2007, stranamente il weekend prima dell’inaugurazione della mostra sul 50esimo della prima edizione dell’Eternauta), i cui fiocchi iniziano ad uccide chiunque ne venga a contatto. A capire la gravità della situazione è Juan Galvez (nell’edizione originale si chiama Juan Salvo) e i suoi compagni di poker (tutti tranne uno, che non capisce una cippa ed esce di corsa sotto la neve e schiatta subito), un gruppo composto da operai, professori, insomma uno spaccato del popolo argentino.

La nevicata è il preludio ad un’invasione aliena, alla quale si opporranno il gruppo di Galvez aiutato (malamente) dai sopravvissuti dell’esercito. Nella seconda parte, quella scritta nel 1976, la trama si sposta in un futuro ancora dominato dagli alieni, dove la popolazione superstite è tornata a vivere nelle grotte (un po’ come succede nel film ispirato al romanzo di Wells “L’uomo che visse nel futuro”), ma a dire il vero è la prima parte quella che preferisco. Ed è pure quella che più ferocemente attacca il potere dittatoriale militare argentino, che proprio nel 1976 stava raggiungendo l’apice della sua crudeltà. Certi passaggi sono poco espliciti, altri molto di più, come quando uno degli eroi combattenti nota che il chiosco nella ” Barrancas de Belgrano” dove si trova la postazione del comando invasore “Kol” è lo  stesso nel quale si esibiva la banda della Polizia.

All’epoca non lo sapevo, ma mentre leggo quella storia stranissima, Héctor Germán Oesterheld è già andato ad ingrossare le fila dei desaparecidos. Come è facile intuire, la dittatura Argentina non prese molto bene l’opera dei due, ma mentre il disegnatore era già in Spagna, Oesterheld si era ostinato a vivere in clandestinità proprio a La Plata, vicino a Buenos Aires, per non abbandonare la numerosa famiglia.

Le donne della famiglia Oesterhled (e nipotini)
Le donne della famiglia Oesterhled (e nipotini)
Prima del 27 Aprile 1977, data ufficiale della sua scomparsa, quei burloni della tripla A si erano occupati di tre delle quattro figlie dello sceneggiatore, tutte impegnate politicamente. Il 19 giugno del 1976 era stato il turno di Beatriz (19 anni), il cui corpo fu restituito alla madre il 7 di luglio, un mese dopo, il 7 agosto Diana (24 anni) in cinta di 4 mesi, viene rapita assieme al figlio di poco più di un anno, di lei e del compagno non si saprà nulla mentre il bambino fu adottato dai nonni paterni. Il 27 Novembre 1976 infine Marina (20 anni) era stata rapita assieme al suo compagno a San Isidro, senza essere più ritrovata.

La buona notizia è che almeno la quarta figlia riuscì a salvarsi da questa mattanza. Sbagliato, il 14 Novembre 1977 Estela Inés (25 anni) con un bambino piccolo ed in attesa del secondogenito, fu uccisa assieme al compagno da un gruppo di “civili” che fecero irruzione nel loro appartamento, anche in questo caso il bambino fu affidato ai nonni paterni.

L’unica sopravvissuta della famiglia fu la moglie, Elsa Sánchez de Oesterheld, che onestamente faccio fatica ad invidiare, scomparsa a 90 anni nel 2015.

Tra quelle sedie di pelle consumata, circondato da adulti che sapevano di fumo e parlavano di cose da vecchi, come il calcio e la politica, nel lusso della mia adolescenza in un paese del primo mondo, mi facevo trasportare dalle battaglie di Juan Khruner Galvez, dal suo eterno viaggio nello spazio e nel tempo, non sapendo che l’autore di quei testi e la sua famiglia aveva affrontato ed era stata annientata da alieni ben più feroci.

Leggevo le parole di Héctor Germán Oesterheld come si può guardare la luce di una stella che vediamo brillare nella notte, ma che forse si è già spenta qualche milione di anni fa.

O forse no, forse davvero l’Eternauta esiste per davvero ed è in realtà Oesterheld, e prima o poi si materializzerà sul mio divano.

Non sulla poltrona, ovviamente, li c’è posto solamente per Il Poltronauta.

 

Héctor Germán Oesterheld con moglie e figlie, fine anni 50
Héctor Germán Oesterheld con moglie e figlie, fine anni 50

4 commenti Aggiungi il tuo

  1. Ari ha detto:

    Con questo racconto mi hai fatto emozionare e perfino commuovere. Graxie di questo bellissimo racconto

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Grazie a te per averlo letto 🙂

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  2. Andrea ha detto:

    Bel racconto, stai diventando un appuntamento fisso delle mie letture in rete.

    Piace a 1 persona

    1. Il Poltronauta ha detto:

      Grazie mille! Proverò a non disattendere le aspettative in futuro allora, anche se ho un ritmo di produzione stile Kubrick 😊 (ma nel frattempo saccheggia pure il mio archivio).

      "Mi piace"

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