“I’m glad to be out, I’ve done too much time for what I did. It even wasn’t a color TV” – Junior Allen, il giorno del suo rilascio, dopo aver scontato 35 anni per aver rubato una TV in bianco nero.
Per poco ci cascavo anche io, il primo disco, “The dream of Blue Turtles”, mi era piaciuto, ma era con il suo secondo, “Nothing like the sun”, che Sting mi aveva quasi convinto. L’idea di Sting di intraprendere una carriera da solista aveva causato il secondo più grande disastro delle storia della musica rock, ovvero lo scioglimento dei Police.
Secondo, perché la fuoriuscita da un gruppo “rock” più grave dello scorso secolo è stata l’abbandono dei Pooh da parte di Riccardo Fogli, di gran lunga più nefasta perché purtroppo il gruppo era sopravvissuto al suo gesto di egoismo (e non dimentichiamoci che la vera causa fu Patty Pravo, la Yoko Ono di Dorsoduro, Venezia, di gran lungo però più attraente).
Comunque questo secondo disco di Sting, all’epoca bellissimo 36enne, aveva una serie di pezzi magnetici, il mio preferito era “Little wing” che però, dopo aver ascoltato la versione originale di Jimi Hendrix, sembrò al confronto un pezzo di Michele Zarrillo.

Il brano più divertente e di successo dell’album era sicuramente “Englishman a New York”, lessi da qualche parte un’intervista di Sting nella quale affermava di adorare vivere a New York, ma che avrebbe voluto avere la cittadinanza US giusto per fare una piccola infrazione, una marachella senza il rischio di essere rimpatriato. Forse si trattava di una semplice operazione simpatia, ma in ogni caso mentre leggevo quell’articolo la pista si era raffreddata, e “…Nothing like the sun” divenne l’ennesimo disco non comperato della mia vita. La questione della “marachella” mi restò attaccata da qualche parte del cervello, soprattutto perché io di infrazioni ne ho fatte veramente poche.
Ogni volta che penso a Sting (e non lo faccio così spesso) mi viene in mente la storia di “Englishman a New York” e delle sue mancate marachelle, e di conseguenza mi ricordo i più alti momenti di criminalità della mia vita.
In realtà ho avuto una vita piuttosto piatta da quel punto di vista, una volta mi sono finto allievo della scuola Aeronautica di Caserta (magari un giorno la racconto), ma niente di serio. Certo ci vorrebbe “il crimine giusto per non passare da criminali”, come cantava Faber, ma l’unica cosa che mi viene in mente al momento è la storia di Mathias Rust, nome che a voi non dirà nulla, anche se sono sicuro che tutti conoscono quello che combinò poco prima di compiere 19 anni.

Fresco di brevetto da pilota di aerei turistici, con appena 50 ore di volo, il 13 maggio del 1987 Mathias Rust noleggiò vicino ad Amburgo un Cessna modificato per avere un serbatoio più grande. Ai comandi del piccolo aeroplano si diresse a nord, verso le isole Faroe, si fermò in Islanda per circa una settimana prima di tornare indietro e visitare anche Bergen, in Norvegia.
Il mattino del 28 Maggio 1987 fece il suo ultimo scalo ad Helsinki per riempire il serbatoio, prima di decollare comunicò un piano di volo che prevedeva di passare per Stoccolma, ma appena lasciato l’aeroporto finlandese, si diresse verso il corridoio “Helsinki-Mosca”, sparendo dai radar pochi minuti dopo che la torre di controllo lo aveva avvisato dell’errore.
Da questo punto in poi il piccolo Cessna di Matthias Rust volò per 7 ore, guidato dall’incoscienza di questo giovane pacifista, nemmeno ventenne, che fu aiutato anche da un’incredibile serie di coincidenze fortunate.
Poco dopo entrato nello spazio aereo dell’allora URSS fu intercettato un paio di volte dalla difesa antiaerea dell’Armata Rossa, ma in entrambe i casi ai piloti dei caccia sovietici fu negato il permesso di abbatterlo. Il controllo dello spazio aereo era stato di recente diviso in diversi settori, che però facevano fatica a coordinarsi, per questo l’aereo di Mathias passò di settore in settore “taggato” come aereo amico, ogni tanto spariva dal radar, per poi ritornare per qualche minuto.
Visto la relativa bassa velocità e la bassa quota per qualche minuto fu scambiato per un elicottero impegnato in un’operazione di soccorso relativo ad un incidente aereo avvenuto il giorno primo. Alle 7 di sera arriva a Mosca e Mathias pensa d atterrare all’interno del Cremlino, ma c’è il rischio che la sua missione di “pace” venga insabbiata dal KGB. Allora opta per la Piazza Rossa, che però è bella affollata a quell’ora e dopo un paio di voli di ricognizione decide di usare il ponte “Bolshoy Moskvoretsky”, vicino alla cattedrale di San Basilio. Anche qui la buona sorte lo aiuta, i fili del tram che di norma erano tesi sopra il ponte erano stati rimossi poche ore prima per manutenzione, così Mathias riesce, primo e ultimo straniero della storia, ad atterrare sulla Piazza Rossa.
Due ore dopo il giovane tedesco viene arrestato ma il suo gesto folle più che diventare un simbolo di pace è la scusa per Gorbachev per fare pulizia dei vertici delle forza armate, umiliati dall’impresa di Rust, che erano per la grande maggioranza ostili al rinnovamento voluto dal nuovo presidente Sovietico.

Alla fine, tra ufficiali e semplici tecnici, salteranno circa 2000 teste, anche per questo motivo una volta condannato Mathias Rust passerà la sua prigionia all’interno della prigione di alta sicurezza “Lefortovo”, lontano dalle prigioni siberiane dove molti dei 2000 “esuberi” erano stati ricollocati.
Dei quattro anni di lavori forzati/prigione ai quali era stato condannato ne sconterà poco più di uno e nell’agosto del 1988 verrà liberato come ciliegina sulla torta degli accordi contro gli armamenti nucleari voluti da Gorbachev e Reagan. Purtroppo per lui una volta tornato in patria Mathias scopre che ad aspettarlo non c’è la gloria come si era immaginato durante la sua prigionia, bensì trova insofferenza, un’opinione pubblica che lo descrive come un idiota, un folle sprovveduto. Soddisfatta la curiosità iniziale, poco dopo i media smettono di cercarlo e il giovane tedesco sparisce nel nulla.
Adesso Rust ha 50 anni, on line si possono trovare tracce della sua biografia, in carcere ci tornò poco dopo, questa volta per aver quasi ammazzato a coltellate una sua collega che aveva respinte le sue “avance”, uscito è stato pizzicato un paio di volte a rubare (persino un maglione di cashmere) ha avuto una vita bizzarra, diventato induista di è sposato con la figlia di un ricco mercante di te indiano, per un periodo pare abbia fatto il commesso viaggiatore in Russia, ad un certo punto sembrava facesse il giocatore di poker professionista, mentre negli ultimi anni ha dichiarato dai fare l’analista per una banca d’affari di Zurigo.
Ma in fin dei conti, dopo essere atterrato in Piazza Rossa con un piccolo aereo, che altro poteva fare Mathias per sentirsi vivo?
Ora che ci penso, una specie di infrazione internazionale l’ho fatta anche io.
Nel 2006 mi trovavo a Parigi con un gruppo di colleghi, tutti agenti di viaggio. La sera prima di tornare a Venezia mi accorgo di aver perso la carta d’identità, a poche ore dalla partenza c’è ben poco da fare. Controllo nelle varie tasche e salta fuori la “Carta Venezia”, praticamente l’abbonamento ai vaporetti di Venezia, l’unico documento con foto che ho con me.
Al check in l’impiegata dell’aeroporto mi guarda storto, mi dice che non ha mai visto un documento del genere, io gli spiego che è una cosa veneziana ma che è tutto in regola. Resisto alla tentazione di imitare lo sguardo di John Belushi inginocchiato davanti alla fidanzata Carrie Fisher in “The Blues Brothers”. La tipa mi fa un mezzo sorriso e mi dice che va bene, ora è il turno dell’hostess che ti strappa la carta d’imbarco al gate, anche qui c’è una piccola “tango hesitation” ma poi le spiego che a Venezia siamo speciali, si vede che non ha voglia di sbattersi più di tanto e mi fa passare.
Sembra che tutto sita andando per il meglio ma a pochi metri dal traguardo si materializza, imprevisto, un terzo controllo: a metà della scala che dalla pista porta all’aereo una poliziotta di colore sta controllando ogni singolo documento. Lo sapevo, sono fregato, chissà come si mangia nelle carceri francesi, e invece no, mostro il biglietto e la Carta Venezia con una scioltezza innaturale, la poliziotta si focalizza sulla foto nel documento e sulla mia faccia, e mi lascia passare.
Ecco, tutto qui, questa è stata la mia marachella più grande, non sarà come atterrare in Piazza Rossa ma in fin dei conti non ho nemmeno il brevetto da pilota.