Impressioni di Settembre

No! Cosa sono, adesso non lo so
sono solo
un uomo in cerca di se stesso
No! Cosa sono adesso non lo so
sono solo
solo il suono del mio passo

Impressioni di Settembre -PFM

 

(Attenzione! Se siete troppo pigri per leggere il post potete ascoltarlo letto dallo straordinario Matteo Caccia in una vecchia puntata di Pascal. Clicca qui!)

 

A Los Angeles i mezzi pubblici li prendono i vecchi, le colf messicane e i matti, e per un certo periodo li ho presi pure io.

Diciamo che il mio mezzo di trasporto preferito era la bicicletta, che cercavo di usare il più possibile, ma a volte ci rinunciavo. Il Sunset Boulevard è una goduria se vai verso il mare, con quella discesa continua e le dolci curve, ma sappiamo che le discese sono salite all’incontrario, ed a ritornare indietro ti servono le gambe di un discreto passatore, non certo un Pantani  ma qualcosa di simile si, e onestamente io quelle gambe non ce le avevo.

Perciò quel giorno me ne stavo alla fermata della spiaggia di Santa Monica in attesa del mio bus quando, probabilmente perchè non rientravo in nessuna delle categorie sopra citate, un tizio sui 40 anni mi si avvicina ed inizia parlarmi.
Ha un berretto da baseball piuttosto unto con la scritta “Life is a bitch and then you die” (versione nichilista del più famoso motto dei Beach Boys: “Life is a beach”) dal quale escono dei lunghi capelli biondi, chiaramente bisognosi di shampo.
Indossa una maglietta sdrucita con la scritta “metallica”, un paio di short consumati e delle Vans che avevano visto sicuramente tempi migliori, in compenso il suo sorriso mi permette di ammirarne i denti marci. Sembra la versione invecchiata, male, di Beavis.

beavis
Beavis (a destra) and Butthead (a sinistra)

Il tipo mi chiede da dove vengo e che ci faccio di bello a L.A., quando gli dico che sono italiano i suoi occhi si illuminano: “Italy? I know a band from Italy, I saw them here, in Santa Monica”. Si ferma, ha lo sguardo di chi sta facendo la radice quadrata di 6575 a mente, dopo una decina di secondi in silenzio esclama: “Damn! I can’t remember the name!”. Visto come è conciato, questo suo vuoto di memoria non mi sorprende affatto.
Poi inizia a raccontarmi di tutti i concerti che aveva visto, elenca una serie di band del passato, io continuo ad annuire, a caso, perchè ne conosco giusto un paio.
Ha le unghie delle mani sporchissime, e ogni tanto parte con degli assoli di “air guitar”, improvvisamente si ferma e dice: “P.F.M.! That’s their name! Do you know them?”.

Certo che li conoscevo, ma i miei P.F.M. erano sicuramente diversi dai suoi.
I miei erano i tipi che un “vecchio” (nemmeno quarantenne) De Andrè aveva chiamato per dopare il suo repertorio, era la band che Faber aveva voluto ai suoi concerti per fare uscire la sua musica dalle secche del cantautorato degli anni ’70, dando vita ad una collaborazione tanto improbabile quanto esplosiva.
I miei P.F.M. erano quelli che sparavano l’intro de “Il Pescatore” come fuochi d’artificio a capodanno, mentre i P.F.M che aveva visto quel tipo erano probabilmente la migliore rock band (non solo progressive) in circolazione all’epoca, una band che aveva fatto impazzire mezzo mondo con live memorabili.

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Interno del doppio LP “De Andrè in concerto con la P.F.M”, più mini Tardis

 

“Beavis” è così felice di aver trovato un altro fan dei P.F.M che inizia a fischiettare “Impressioni di Settembre” però, mettici che i suoi denti erano consumati dal crack, mettici pure che di certo lui non era Alessandro Alessandroni (il famoso fischio delle colonne sonore di Morricone, ndr), vi assicuro che stavo ascoltando la versione più triste e patetica della storia.

Per fortuna arriva il bus ad interrompere la sua performance, faccio il gesto di farlo passare, ma il tipo mi dice “Nah, I’ll catch next one” e mi saluta.

Mi siedo nei posti in fondo, quando il bus riparte vedo con la coda dell’occhio il mio nuovo “amico” trascinare un carello da supermercato con dentro una coperta, dei cartoni e qualche sacchetto di plastica.

Da appassionato frequentatore di concerti, si era trasformato in un personaggio da girone dantesco, con una legge del contrappasso crudelmente perfetta, il tipo aveva fatto così tanti viaggi artificiali, che adesso non si poteva nemmeno permettere di prendere un cazzo di bus urbano.

Life is a bitch, and then you die. I suppose.

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