See the stone set in your eyes
See the thorn twist in your side
I’ll wait for you
With or without you – U2
Ci sono momenti, nemmeno così rari, nei quali capisci che ti trovi davanti ad un capolavoro. Non assoluto, sia chiaro, quelli sono ben più rari e di norma c’è ne accorgiamo solamente anni dopo.
Parlo di un film, un libro, un disco o un’impresa (sportiva o meno) che si palesa davanti a te in modo chiaro, nitido, sapendo che in quel preciso istante quella è la perfezione massima. Come ad esempio appena finito di guardare in TV la seconda manche della slalom di Alberto Tomba alle olimpiadi di Lillehammer nel 1994, quando partendo con il dodicesimo tempo quel pazzo di Bologna arrivò secondo; oppure appena uscito dal cinema, dopo aver visto “Il Gladiatore”, non un capolavoro assoluto, ma in quel momento un film straordinario, risultato della somma di ingredienti (regista, attore, scenografia) al loro top.
Quando sentii “The Joshua Tree” per la prima volta ebbi l’impressione di trovarmi davanti ad un capolavoro, forse non eterno, ma perfetto per quel momento storico.
Gli U2 (per tutti u-due) erano arrivati a casa mia grazie alle solite cassette che gli amici di mia sorella maggiore le fornivano con parsimonia. Se non mi ricordo male la C90 conteneva “October” e “Under a red blood sky”, con una versione live di “Sunday Bloody Sunday” che avrebbe trasformato in un rivoluzionario persino Romano Prodi.
A questo disco live era seguito “The unforgettable fire”, il disco della svolta. Gli U2 erano oramai pronti al grande salto, con un’età media attorno ai 27 anni (la stessa di Tiziano Ferro quando scrisse la colonna sonora per il film “Ho voglia di te” di Federico Moccia, ndr) ma con una maturità da veterani decisero di conquistare gli USA e diventare una band universale. Per “The Joshua Tree” misero assieme un Dream Team, a partire dal fotografo, Anton Corbijn, che li immortalò in una delle più iconoclastiche copertine di sempre, e fornì materiale fotografico per l’ampio spazio offerto dalla versione in vinile. La produzione fu affidata a Daniel Lanois (spesso pronunciato “Daniel Lanuà”) e a Brian Eno (lui sempre pronunciato “braian ino”) che riuscirono ad innalzare a status di capolavoro praticamente ognuno dei 12 pezzi che compongono l’album.

Dalla grafica alle foto, dalle canzoni al suono, tutto in quel LP era perfetto. Detto questo, quel disco non lo comprai mai, avendo destinate le mie limitate finanze a sconosciuti artisti reggae, visto che nessuno mi avrebbe registrato quel tipo di musica.
Finii comunque per ascoltare “The Joshua Tree” decine di volte dall’impianto stereo milionario (in lire) del mio zio di Los Angeles quando mi piazzai a casa sua per circa 6 mesi.
Quello era uno dei pochi vinili che aveva, e il fatto che fosse finito a casa di un cinquantenne reaganiano convinto, con la passione per le bionde dalle tette rifatte, la cocaina e le Ferrari, era la prova che gli U2 erano davvero diventati una band universale.
Se si pensa che da lì a poco il bassista della band, Adam Clayton, un trentenne ne’ bello ne’ brutto e non certo ultra ricco, riuscì a fidanzarsi con una poco più che ventenne Naomi Campbell (ad inizio anni’90 la Campbell era un’aliena, tipo Maradona ai mondiali del 1986 o Carl Lewis alle olimpiadi del 1984, per farci capire), direi che quell’aurea quasi mistica accompagnò gli U2 per molto tempo dopo l’uscita di quell’album.

Comunque, tornato in Italia, The Joshua Tree (e gli U2 in generale) non li ascoltai più, me ne dimenticai fino ad una decina di anni dopo, quando letteralmente quasi ci inciampai sopra. Girato l’angolo di una calle vicino casa mia, appoggiato sul muro a fianco di un sacchetto d’immondizia scorsi la famigliare immagine in bianco e nero della band con il deserto alle spalle. Qualcuno aveva ben pensato di sbarazzarsi del LP capolavoro degli U2, non ci pensai un attimo e lo raccolsi subito, mentre mi dirigevo a casa guardai lo stato del vinile, che mi sembrò ottimo, di certo migliore di molti dei miei album.
Ovviamente non lo ascoltai, che ve lo dico a fare.
Dopo molti mesi lo ripresi in mano, e qui successe qualcosa di inaspettato: dalla tasca del LP scivolarono due buste scritte a mano, conobbi così parte della storia tra Claudia e Daniele, che da allora mi tormenta.
La prima busta contiene una lettera scritta a mano, senza francobollo nè indirizzo del destinatario (e nemmeno del mittente), la calligrafia ariosa e chiara, probabilmente di una ragazza giovane.
La lettera inizia così: “Ciao amore come va? Penso bene”
La lettera è datata 19/10/88, ore 22:15, questo dell’ora è un particolare che ancora mi commuove. Questa precisione, che adesso nell’epoca delle email e di whatsapp diamo per scontata, per una lettera scritta a mano è perlomeno singolare.
Mi immaginai una ragazzina chiusa nella sua cameretta alle 22:15 con “The Joshua Tree” in sottofondo, mentre scriveva una lettera al suo innamorato lontano.
Non dice nulla di particolare, il suo italiano è semplice ma privo di errori, descrive come un acquerello un momento di una giornata normale, un incontro casuale, piccole riflessioni e grandi speranze. Si capisce che è innamorata, non solo dagli “mi manchi” e i vari “ti amo” urlati come slogan sui bordi della lettera, ma dal tono in generale. Ovviamente il destinatario della lettera conosce molti dei particolari che Claudia omette o spiega parzialmente, per anni mi sono arrovellato il cervello per immaginare tutti gli scenari possibili, ma molti aspetti della loro storia restano oscuri. Dopo aver letto la lettera per la prima volta pensai solamente che fosse molto triste che il tipo non solo non l’avesse conservata, ma che addirittura l’avesse gettata assieme a “The Joshua Tree”, poi lessi la seconda busta e la storia prese una svolta inaspettata, e se possibile ancora più triste.
La seconda busta è parzialmente strappata, del mittente si legge mezzo nome e parte dell’indirizzo, dentro non c’è nulla, ma non credo aggiungerebbe qualcosa a quello che la busta “dice”.
La data del timbro postale è 12.04.90, è passato un anno e mezzo da quella prima lettera, l’indirizzo sulla busta è scritto in stampatello, sembra una mano più matura, ma il “ti voglio bene” disegnato sul retro è quasi infantile. L’indirizzo del destinatario è “Santa Croce 234”, per i non veneziani sembrerebbe il solito bizzarro indirizzo della città, ma invece si tratta del carcere di Santa Maria Maggiore.
Sotto la dolce calligrafia della ragazza c’è una nota scritta a mano in corsivo, non chiarissimo, ma si capisce “domiciliari” e sotto ancora timbro che dice “al mittente”. La ragazza gli aveva mandato questa lettera senza sapere che in carcere lui non c’era più, inutile immaginare una storia d’amore felice a questo punto. Triste, solitario y final. Come avrebbe detto Soriano.
Capisco che quella lettera, come forse quella scritta quasi due anni prima, non ha mai raggiunto il destinatario, che quelle parole d’amore si sono fermate su due fogli di carta senza (probabilmente) mai arrivare al cuore del destinatario, intrappolate come un insetto in una goccia di resina, senza però che il tempo le abbia trasformate in ambra.
Capisco che quel vinile era della ragazza, che aveva deciso di disfarsene, seppellendoci dentro due lettere di un secolo prima mai arrivate a destinazione. Spero che alla fine abbia trovato qualcuno in grado di leggere tutte le altre lettere che nel frattempo avrà scritto, e che abbia avuto in qualche modo un happy end, “With or with out you”.
Da sempre (o meglio, dalla prima volta che ti incrociai per caso su feisbuc) mi piace leggerti, ma a volte quello che scrivi mi lascia senza fiato.
Questa è “a volte”.
Ciao Zanon.
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Grazie Alberto!
Proverò a fare in modo che “a volte” diventi “molte volte” 🙂
Senza fretta però, visto che tenderei alla pigrizia…
R.
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Una delle più belle storie (tristi) che ho mai letto.. 🤗🤗 da leggere tutta di un fiato per vedere come si evolve… ma non ti è mai venuta la curiosità di sapere chi era???
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In tutta sincerità, dopo aver scritto il pezzo, ho fatto delle ricerche e credo di aver capito chi sono i due protagonisti, ma ovviamente non svelerò il loro nome. 😉
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E grazie. Sono contento che ti sia piaciuta. 😊
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Grande stile come sempre.
Ma la sensazione di essere di fronte alla “canzone perfetta” ( per quei tempi/luoghi/ età di chi l’ascolta) era vivissima nel sottoscritto già al primo ascolto di ” with or without you. Non c’era un dubbio.
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