Watchmen

Laurie Juspeczyk: Is that what you are? The most powerful thing in the universe and you’re just a puppet following a script?

Doctor Manhattan: We’re all puppets, Laurie. I’m just a puppet who can see the strings.

Watchmen – Alan Moore

 

7:36 non è un versetto della Bibbia, almeno non per me.

7:36 è l’orario del Vaporetto Linea 1 (la versione veneziana dell’autobus) che durante i 5 anni delle scuole superiori dovevo prendere ogni mattina, imbarcarmi su quello di dieci minuti prima sarebbe stato uno spreco di energia, mentre quello successivo mi avrebbe garantito una nota per il ritardo.
Salivo all’imbarcadero di Cà d’oro, ad aspettarmi a bordo c’erano già un paio di compagni, altri si aggiungevano alla fermata successiva, quella di Rialto, alle 7:40. Di norma sempre fuori, con la pioggia o il sole, indifferenti alle fredde nebbie novembrine del Canal Grande.

Scendevamo alla fermata dell’Accademia e poi in 5 minuti si arrivava in classe, a volte 7 minuti se si includeva la sosta nel panifico in campo San Vio.

L’ultimo anno iniziai ad usare sempre meno il vaporetto, facevo la strada a piedi, circa mezz’ora di camminata a ritmo veneziano (passo sicuro, mai a trascinare i talloni,  sguardo ad altezza uomo, che non sai mai chi puoi incontrare), quasi sempre da solo, in silenzio perso nei miei pensieri, e senza walkman (ai tempi gadget costosissimo) a rendere la strada più leggera. Arrivavo in scioltezza al  ponte dell’Accademia, ultimo ostacolo verso la scuola, che superavo senza affanno, come un buon mezzofondista.

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Ponte dell’Accademia, lato Dorsoduro

Non mi ricordo quando iniziò, ma ad un certo punto mi accorsi di una ragazza, la incrociavo quasi ogni mattina, era la cosa più bella della giornata, aveva uno sguardo dolce, degli occhi di un verde mai visto sopra due zigomi alla Candace Bergen e un viso di una grazia preraffaelita. Per qualche strano motivo la vedevo solamente la mattina, e solamente li, sopra il ponte dell’Accademia, mai prima o mai dopo, e ovviamente mai durante la giornata in giro per la città, per quanto Venezia non abbia le dimensioni di Los Angeles. Dopo un po’ credo si si accorse di me, probabilmente quei 30 secondi passati a fissarla , mentre con non chalance scalavo il ponte, avevano attirato la sua attenzione. Quello era ormai diventato un appuntamento fisso, e in cuor mio ero sicuro che anche lei, magari con meno trepidazione, aspettasse quel momento. Prima o poi avrei rotto gli indugi, ormai era questione di giorni e l’avrei fermata, le avrei donato il mio cuore e giurato amore eterno. O almeno su base quinquennale, come un piano economico dell’ URSS.

Ad un certo punto però scomparve, non mi ricordo il giorno preciso, credo fosse verso la fine dell’anno scolastico, una mattina mi accorsi della sua assenza, aspettai fiducioso qualche settimana, arrivarono gli esami di fine anno e l’estate, ma non la rividi più.

Se potessi scegliere, quale supereroe vorresti essere? Tutti se lo chiedono, forse di più i maschietti che le femminucce, ma questa è una domanda che ogni pre-adolescente (ma anche qualche post-adolescente) ad un certo punto della propria vita si pone.
I supereroi che conosciamo sono figli della cultura USA, pur venendo da molto più vicino. Anche con i pochi micron di sapere che mi ritrovo, riconosco tracce della cultura mediterranea nell’universo Marvel. A partire da quella ebraica (non a caso i padri della Marvel sono due signori chiamati Stanley Martin Lieber aka Stan Lee e Jacob Kurtzberg aka Jack Kirby), come ad esempio Silver Surfer, la versione rivisitata dell’ebreo errante incrociato con un alieno e un surfista californiano.
Come gli eroi delle tragedie greche, anche i supereroi Marvel si trovano sempre ad affrontare situazioni incredibili, straordinarie, dove il corpo è un’armatura luccicante e non è mai alle prese con il quotidiano dell’uomo comune.
Voglio dire, avete presente “The Thing”, cioè La Cosa dei Fantastici Quattro, quel mostro di pietra in grado di sradicare grattacieli dalle strade? Non so voi, ma io mi sono sempre chiesto cosa può produrre quel suo intestino di roccia, che razza di dolmen può mai creare nelle sue sessioni mattutine nel WC.
E l’Uomo Ragno? Cosa gli potrà uscire dal naso quando Peter Parker si trova a letto alle prese con la classica influenza invernale? E tornando ai Fantastici Quattro, siamo poi così sicuri che Mr. Fantastic, aka Richard Reeds, capace di allungare ogni parte del suo corpo, qualche trucchetto a letto per fare contenta la moglie non l’abbia mai usato?

Il primo supereroe che si rispetti è Superman, così per non sbagliarsi già si cala l’asso. Superman fa praticamente tutto quello che un comune mortale vorrebbe fare, ha una forza smisurata, corre velocissimo, addirittura vola, ha la vista a raggi X , il soffio congelante (!?) ed ha pure il ciuffo.

Poi arrivano gli altri, quelli che si arrampicano sui muri (ma se voli, che cazzo te ne fai), quelli che quando s’incazzano diventano fortissimi e verdi (pure qui, resti tranquillo, non diventi verde e sei forte uguale), ognuno di questi ha un potere speciale, un punto di forza, ma alla fine Superman è sempre stata la mia prima scelta.

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Il gigantesco cratere smile visitato dal Doctor Manhattan

Almeno fino all’arrivo di Watchmen, la più grande graphic novel di sempre, il punto di non ritorno del mondo dei fumetti, il passaggio definitivo dall’adolescenza all’età adulta, in tutti i sensi. Dopo la sua uscita ( e quella del Batman di Frank Miller) niente sarà più come prima.
Ambientato a fine anni ’80 in un mondo simile al nostro, Watchmen ha una narrazione piuttosto complessa, dove si intrecciano diverse sotto-storie, che partono da lontano, nel tempo e nello spazio, per creare un racconto corale potente.
Watchmen rappresenta la fine del supereroe così come l’avevamo immaginato, nel libro ci troviamo davanti a due generazioni di supereroi, la prima (vigilantes dopati più che uomini con super poteri) invecchiata e dimenticata, che vive nei ricordi nei pochi superstiti, la seconda, messa fuori legge dal parlamento Americano, formata da psicopatici che non si sono arresi (Rorschach), da benestanti annoiati (Nite Owl), da geniali ricchi megalomani (Ozymandias) e ovviamente dal Doctor Manhattan, arruolato ed integrato nel sistema governativo, l’arma segreta che ha reso gli USA la vera superpotenza di quel mondo.
Doctor Manhattan, capace di muoversi nello spazio e nel tempo (anche se in realtà “nel tempo” lui ci vive), in grado di spostare oggetti e persone, di ingrandirsi, di sdoppiarsi, di domare qualsiasi materia, con un QI nemmeno misurabile, è lui il mio supereroe. Ma nemmeno lui è onnipotente, come Alan Moore mostra in uno dei suoi dialoghi più memorabili, quando gli fa ammettere di essere nient’altro che una marionetta come tutti gli altri, con la differenza che almeno lui vede i fili.

Doctor manhattan mars
Doctor Manhattan sulla superficie di Marte

Nel corso della storia Doctor Manhattan si aliena sempre di più dalla terra e dagli uomini, finché decide di andarsene, per creare un mondo tutto suo (scusate lo spoiler).

Ecco, se proprio devo puntare in alto vorrei essere lui, il look è simile (giusto la pelle un po’ più blu), il mio QI è abbastanza altino, sul resto ci possiamo lavorare.
Ma se dovessi andare al ribasso mi accontenterei di un semplice, unico potere, che credo nessun supereroe abbia mai avuto, vorrei avere la capacità di sapere quando è l’ultima volta che “qualcosa” accade mentre la sto vivendo.
Cioè capire quando un gesto o una situazione apparentemente normale non si ripeterà mai più, per permettermi di viverla meglio. Avrei voluto capire che quella sarebbe stata l’ultima volta al cinema con mio padre, che dopo quella carezza, mia madre non sarebbe riuscita a darmene più, capire che quella con Mourinho sarebbe stata l’ultima Champion’s vinta dall’Inter (a dire il vero, per questo non serve un superpotere).
Avrei voluto sapere che quella mattina di Maggio, sul ponte dell’Accademia, sarebbe stata l’ultima volta che il mio sguardo avrebbe incrociato quello della ragazza. Sicuramente la mia vita sarebbe stata diversa.

Almeno adesso saprei il suo nome.

5 commenti Aggiungi il tuo

  1. consules ha detto:

    Per tutta la quarta superiore tornai da scuola con l’autobus “sbagliato”, allungando di 20 minuti da colmare di corsa onde evitare il rimprovero “ma quanto ti ghe ga messo? Desso ti te magni tuto ingiassà”. Il tutto per lo stesso motivo. Sguardi a profusione in religioso silenzio. Mai più vista.
    Oggi probabilmente si parlerebbe di “stalking” da eccessiva intensità di sguardi 🙂

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      Come cantava De Andrè:

      Alla compagna di viaggio
      i suoi occhi il più bel paesaggio
      fan sembrare più corto il cammino
      e magari sei l’unico a capirla
      e la fai scendere senza seguirla
      senza averle sfiorato la mano.

      Di sicuro valeva quei 20 minuti di tragitto in più.
      Magari lo prende ancora quel bus. 🙂

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  2. consules ha detto:

    Li valeva eccome. Era il classico “amor di lontano”. Forse in una vita precedente sono stato un poeta trovatore provenzale. C’è chi è stato un gran trombador e chi è stato un “troubadour”, io sono cascato nella seconda categoria 🙂

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    1. Il Poltronauta ha detto:

      🙂 gli sguardi delle passanti…bastano e avanzano, a volte.

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