L’anomalo caso di Monsieur Etoh Mvondo

No doubt: I found her Queen of Ocean, and I leave her
Lady of Lombardy; it is a comfort
That I have added to her diadem
The gems of Brescia and Ravenna; Crema And Bergamo no less are hers; her realm
By land has grown by thus much in my reign,
While her sea-sway has not shrunk.

Doge Francesco Foscari – The Two Foscari (Lord Byron)

 

Il 1º novembre 1457, poco più di una settimana dopo “il voto di sfiducia” del Maggior Consiglio della Serenissima, l’ormai ex doge Francesco Foscari muore alla rispettabile età di 83 anni. Il governo della città, preso da sensi di colpa, organizza un funerale in pompa magna, con il nuovo doge (Pasquale Malipiero) in vesti da semplice senatore, ad indicare che il vero doge è quello nella bara, non lui.

Ritratto di Francesco Foscari, di Lazzaro Bastiani

Ma chi era Francesco Foscari?

Figlio di un ricco commerciante, abilissimo politico,  è stato il doge con il più lungo dogato della Repubblica di Venezia, che proprio sotto il suo comando raggiunge la più ampia estensione della propria storia.  Non che quel trentennio sia stato tutto rose e fiori, anzi, il suo dogato è segnato da guerre (prima coi Visconti e poi coi Turchi) e da lotte intestine tra le grandi famiglie storiche. E se non bastassero gli uomini, la natura sembra scagliarsi su Venezia coma mai aveva e avrebbe fatto: siccità nel 1424, continue acque alte, la leggendaria gelata della laguna nel 1431 con le conseguenti difficoltà, il terremoto  del 1451. Senza dimenticare l’epidemia di peste (la seconda ed anche la meno grave della storia di Venezia) che colpì la città poco dopo l’inizio del suo dogato, nel 1423, e che uccise 4 dei 5 figli maschi del doge. L’unico che sopravvisse fu Jacopo, al centro di alcune macchinazioni politiche vent’anni dopo che culminarono con la sua condanna all’ergastolo nel 1456, (in realtà Jacopo morì poco prima del padre), il cui clamore diede il colpo di grazia al dogado del padre.

Ma perché diavolo sto scrivendo di un doge? Manco avessi letto un libro sulla Repubblica di Venezia e mi ritenessi un esperto. No, la figura del doge più longevo della Serenissima mi interessa per una storia dimenticata accaduta nel 1990, un’altra di quelle storie popolate di personaggi improbabili e di antieroi che tanto piacciono al Poltronauta.

Il 21 settembre 1990 è il primo venerdì d’autunno, ma a Venezia nessuno se ne è accorto, la temperatura e il sole sono ancora quelle dell’Estate. Fra i tanti turisti che affollano le sale del museo Correr, in piazza San Marco a Venezia, uno attira l’attenzione di tale Stefano, una giovane guardia sala di turno quel giorno. Si tratta di un ragazzo di colore, con un cappello bizzarro e dei guanti da ciclista, ma quello che lascia perplesso Stefano (e che lo spingerà a seguirlo fra la folla, fino a quando lo perderà di vista) è che nonostante il caldo afoso, il ragazzo indossi una lunga giacca a vento.

Qualche ora dopo il personale del museo si accorge che il ritratto su tavola del doge Francesco Foscari, dipinta nel 1460 da Lazzaro Bastiani, è stata rubato. Si tratta di una piccola tavola (50 centimetri di lato circa), un particolare però inquieta da subito: di tutte le opere esposte al Correr, quel dipinto è l’unico senza allarme. Il ladro deve essere per forza un astuto professionista (peccato che girasse per le sale di un museo a Settembre in giacca a vento…).

Il furto manda su tutte le furie il sovrintendente dei musei civici veneziani, sua maestà dottor professor Giandomenico Romanelli, che da mesi lamentava la poca sicurezza nei musei veneziani, dovuta soprattutto al continuo taglio dei finanziamenti, dimostrazione dello scarso interesse per l’arte da parte del governo veneziano e nazionale.

Ma facciamo un passo indietro. Un paio di settimane prima, a Parigi,  alcuni poliziotti della Brigata antiquari (la sezione della polizia francese che si occupa dei furti d’arte) notano nella vetrina di un antiquario una pendola Luigi XV, è quella rubata il 22 giugno in un piccolo museo parigino. I poliziotti entrano nel negozio e iniziano a fare domande, scoprendo che l’incauto (?) antiquario aveva acquistato per circa un terzo del suo valore (5 mila franchi, più o meno un milione di lire dell’epoca), da un giovane ragazzo francese di colore. L’uomo non vuole rogne perciò dice tutto quello che sa su quel tipo. L’identikit assomiglia a quelli fatti dell’astutissimo ed infallibile ladro che da mesi sta flagellando i musei francesi, la vendita della pendola sembra essere il suo vero primo errore, ora la polizia ha qualcosa di concreto sul quale lavorare.

Sabato 22 settembre tutto è pronto, la polizia francese ha finalmente individuato l’appartamento dove abita Richard Etoh Mvondo, il ragazzo descritto dall’antiquario e che sembra assomigliare all’identikit dell’autore di molti altri furti d’arte di quell’anno. Quando i poliziotti suonano al campanello di casa nessuno risponde, riescono a farsi aprire da un vicino e si dirigono verso il piccolo appartamento di Mvondo, bussano alla porta ma nessuno apre, così si siedono sui gradini delle scale e aspettano. Poco dopo, direttamente dal treno che da Venezia lo aveva portato a Parigi, arriva il giovane studente d’arte, sotto il braccio porta, avvolto in una carta da pasticceria, il Ritratto del doge Francesco Foscari.

Moulins de la Glaciere di Paul Huet

Al giovane non resta che arrendersi, consegna il quadro ai poliziotti e li fa accomodare nel suo appartamento, ma quello che le forze dell’ordine si trovano davanti agli occhi è un piccolo museo; appesi alle sezioni di pareti lasciate sgombre dagli scaffali stracolmi di libri d’arte, i poliziotti ammirano una serie di dipinti tutti originali e tutti rubati con maestria dal giovane studente originario dalle Antille (anche se con un cognome Camerunese). Tra le opere recuperate nella casa parigina (altre ne recupereranno nell’altra abitazione di Mvondo, a Lione) ci sono il Ritratto di donna seduta di Pierre Auguste Renoir (Louvre),  il Ritratto di Monnaluccia di Ernest Herbert (Museo Herbert), il Moulins de la Glaciere di Paul Huet (museo della Carnevalet), tutti e tre rubati lo stesso giorno, il 4 luglio 1990,  inoltre una tela raffigurante Jean Baptiste Rodin padre (museo Rodin), una Veduta di Delf dell’ artista olandese Johan Barthold Jongking (museo Petit Palais) e una statuetta di legno del XV secolo di Sant’ Agnese (museo Marmottan), tutte opere rubate attorno al 20 di maggio dello stesso anno.

Grazie ad un colpo di sfortuna e all’abilità della polizia francese, in meno di 24 ore dal furto, il ritratto di Francesco Foscari viene ritrovato, il direttore Romanelli tira un sospiro di sollievo ma non abbassa la guardia, convinto che i musei debbano essere sorvegliati in modo migliore. Il fatto che sia stato preso di mira l’unico quadro “non allarmato” del Museo Correr regala a questa storia un’altro mistero: chi aveva informato il ladro? C’erano complici? A mio avviso il tipo avrà pensato che in quanto cazzoni italiani, almeno un quadro non avrebbe avuto l’allarme,

Passata la paura di non poter più rivedere la tavola del Doge, i giornali italiani cercano l’eroe della faccenda, che stranamente non è Richard Mvondo (lo sarebbe stato per me) ma bensì la giovane guardia sala Stefano, che grazie al suo preciso identikit ha messo sulle tracce del ladro l’Interpol. Poco importa se ad incastrare il giovane Mvondo è stata la pendola che aveva venduto, tentato dal facile guadagno, probabilmente se avesse continuato ad tenere le opere rubate per se stesso forse a quest’ora nessuno dei suoi quadri avrebbe lasciato il suo appartamento.

Pare che all’arrivo dei poliziotti Richard Etoh Mvondo, lo studente amante della bellezza e della pittura abbia semplicemente detto “Lo faccio per l’amore dell’arte”. Un grande.

A quasi 30 anni dai fatti il direttore dei musei civici è oramai in pensione (dopo 32 anni di onorato servizio, 2 in meno del doge Francesco Foscari, è stato “esautorato” nel 2011), i musei sono sicuramente più sicuri (più o meno), mentre di Richard Etoh Mvondo non si sa nulla, non ci sono tracce on line e neppure sui social. Ho rintracciato pochi omonimi, ma tutti molto più giovani e tutti Camerunesi.

In realtà mi sono imbattuto in un profilo su LinkedIn con lo stesso nome (senza Etoh) ma anche in questo caso apparentemente Camerunese (non Antilliano), la cosa buffa però è che questo Richard Mvondo di lavoro sembra fare  “l’ispettore di opere d’arte” presso una compagnia tedesca di ingegneri.

Speriamo bene.

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